Immaginate di rimanere in un garage per molti anni, circondati dai vostri affetti, dagli oggetti malconci che richiamano la vostra infanzia; tra una lava lamp e un paio di romanzi ingialliti, tra un blocco di fotografie e una chitarra. Il vostro mondo è racchiuso in quel garage, in ciò che si ama e in ciò che si sogna di volere: ragazze, futuro, gioia.
Poi un bel giorno, si ritrova il telecomando della porta del garage, lo si spinge e si vede il mondo fuori. Sarà la luce troppo forte del sole che non si era più abituati a vedere direttamente, saranno i tanti impulsi provenienti da un mondo esterno in continua evoluzione artistica, umana e spirituale, ma la sensazione che si prova è di assoluto smarrimento, ci si sentirebbe strani, come sotto l’effetto di qualche droga. Ecco, questa versione attuale dell’uscita dalla caverna platonica è quella che deve aver subito la musica di Kyle Thomas, in arte King Tuff.
Thomas sembra aver abbandonato la sua comfort zone fatta di garage rock e sesso occasionale e di essere uscito allo scoperto in una realtà che richiede un impegno politico e il cui sforzo sembra dover passare da codici musicali eterogenei e originali. Il risultato dell’evoluzione di King Tuff è rappresentato dalle dieci pazze tracce di The Other.
L’artista del Vermont decide di porre l’attenzione sulle condizioni in cui versa la natura del nostro pianeta, sulla vita e la morte e, come un novello Jay Kay, ci rimprovera una dipendenza sempre più forte dalla tecnologia. I mezzi per gridare all’umanità questi afflati socio-politici faranno storcere il naso ai fan del Thomas di “Black Moon Spell” (2014). Nel suo ultimo album troviamo ritmi che fanno venire voglia di ballare, richiami alla musica dei seventies, accenni funk che si mescolano a un rock che ricorda il graffio degli Arctic Monkeys. Un mélange che risulta bizzarro ma, allo stesso tempo, interessante.
“The Other” è un viaggio tra il passato e il futuro, tra la terra e le stelle. Se il fraseggio alle tastiere di Neverending Sunshine e di Circuits In The Sand ci fanno sentire a tutti gli effetti degli hippies (il secondo, in particolare, sembra un riff uscito da un album dei The Animals), la title track è una ballata dallo spirito assolutamente contemporaneo.
La combo dell’ipnotica linea di basso con il sassofono (à la David Bowie) di Raindrop Blue e il funk di Psycho Star puntano alle stelle, all’iperuranio sempre più lontano dalla stanza da cui Thomas è uscito. Pur essendo rivoluzionario per la carriera di King Tuff, la pecca del disco sta nel riscoprire in maniera troppo sfacciata alcune influenze fino a minarne l’originalità melodica.
(2018, Sub Pop)
01 The Other
02 Raindrop Blue
03 Thru The Cracks
04 Psycho Star
05 Infinite Mile
06 Birds Of Paradise
07 Circuits In The Sand
08 Ultraviolet
09 Neverending Sunshine
10 No Man’s Land
IN BREVE: 3,5/5