A volte c’è da uscire fuori di senno nel sentire certi accostamenti che vengono a galla – non si sa né come, né quando, né perché – riguardo ad una band che ha iniziato da poco il proprio percorso. Un esempio esemplificativo è la nomea di “nuovi U2” affibbiata ai Kings Of Leon fin dal loro esordio con “Youth And Young Manhood” (2003). Nomea in primis di cattivo auspicio, data l’involuzione storico/cronologica di Bono Vox e soci, ed a nostro avviso anche altamente infondata. E siamo sicuri che pure il club dei Followill (i tre fratelli più un cugino che formano i Kings Of Leon) sia arrivato al limite della sopportazione nei confronti di questo gioco di rimandi, se è vero che col quarto capitolo della loro saga, Only By The Night, viene calcato e rimarcato in maniera definitiva il solco che li distanzia da qualsivoglia termine di paragone sito in terra d’Irlanda. Perché questo del 2008 è un album che, per la prima volta in maniera così massiccia nella discografia dei Kings Of Leon, abbandona i sentieri southern rock smembrandone i connotati: innanzitutto il suono ed il relativo lavoro di produzione, qui più ovattato che in passato, più ricercato e meno intriso di quella “sporcizia” tipica di certo modo di fare rock nel sud degli Stati Uniti. E poi l’indole di fondo dell’album, meno solare e più cupa, più notturna per certi versi, come suggerisce il titolo stesso. C’è tanta elettricità (l’iniziale Closer, Crawl o la conclusiva Cold Desert), ed i colpi d’ascia dei lavori passati sono stati sostituiti da docili ricami strumentali (vedi le ballate Use Somebody e Revelry) sorretti da un basso sempre in extrasistole (Manhattan, Be Somebody). In tutto ciò, difficilissima da scorgere (magari nel singolo Sex On Fire o in 17) ed ancor più difficile da descrivere e delimitare, c’è anche una certa psichedelia raffinata che percorre per intero “Only By The Night”. La voce di Anthony Caleb Followill, infine, appare aver fatto il definitivo salto di qualità, attestandosi su ottimi livelli espressivi e godendo di una pulizia mai raggiunta in passato. L’unico appunto che, a voler essere pignoli, ci sentiamo di porre è relativo ad una ricerca della trovata melodica e del giro orecchiabile che risulta a tratti un po’ insistente e forzata. Una inezia per un ottimo album che riesce (per nostra – e loro – fortuna) ad allontanare gli spettri di paragoni fuori luogo.
(2008, RCA)
01 Closer
02 Crawl
03 Sex On Fire
04 Use Somebody
05 Manhattan
06 Revelry
07 17
08 Notion
09 I Want You
10 Be Somebody
11 Cold Desert
A cura di Emanuele Brunetto