La metamorfosi può dirsi definitivamente conclusa. Non era di facile attuazione, non era neanche stata richiesta a dire il vero, ma i Klimt 1918 hanno sentito il bisogno di effettuarla, di discostarsi a poco a poco dalle loro origini fatte di metallo evolvendosi in direzioni diverse. E così, dopo “Undressed Momento” (2003) e “Dopoguerra” (2005), giungiamo oggi a Just In Case We’ll Never Meet Again, terzo album in studio per la band romana. Si sono ormai allontanati a distanze siderali i tempi in cui la band dei fratelli Soellner veniva accostata, a giusto titolo, a nomi del calibro di Anathema e Katatonia. Il percorso destrutturante cominciato ad inizio millennio viene portato a termine adesso, a fine decade, con un album che accentua in maniera esponenziale l’indole new wave e, soprattutto, shoegaze da sempre substrato della musica dei Klimt 1918, ma mai in evidenza come in quest’ultimo capitolo della loro discografia. Le sferzate chitarristiche dei “fissascarpe” si ergono prepotenti, ad esempio, nell’opener The Breathtaking Days (Via Lactea), in Just An Interlude In Your Lifee All Summer Long, in cui la memoria fa rewind a certe sonorità contenute in “Souvlaki” degli inglesi Slowdive (tanto per non scomodare i mostri sacri My Bloody Valentine, che pure ci starebbero benissimo). Ma se lo shoegaze è ormai da qualche tempo una costante per i Klimt 1918, lo stesso non può dirsi per le venature wave che percorrono gran parte delle undici tracce di “Just In Case We’ll Never Meet Again”; ed infatti stupisce – e non poco – l’andamento indie-wave di brani come la title-track o Skygazer, con quel refrain accattivante che non sfigurerebbe al cospetto di band più illustri, fra quelle che ospitano la sigla “U.K.” sui propri passaporti (su tutte citiamo gli Editors, che in alcuni momenti appaiono come il vero “target” dei Klimt 1918). Ad accentuare i rimbombi wave dell’album ci si mette anche la prova vocale di Marco Soellner, onirica, inquieta, nostalgica come si conviene in queste circostanze. Ma c’è anche dell’altro in “Just In Case We’ll Never Meet Again”, perchè in Suspense Music riecheggiano i Dredg di “Catch Without Arms” da un punto di vista strettamente compositivo, mentre quel lungo interludio strumentale che “allaga” la parte centrale del pezzo giustifica quanti parlano di post-rock come chiave di lettura dei nuovi Klimt 1918. E, ancora, episodi eterei e nervosi come Ghost Of A Tape Listener e The Graduate, in assoluto i picchi emozionali dell’album, travolgenti e rarefatti, a creare atmosfere tanto melense quanto graffianti. Da non sottovalutare affatto, infine, quello che deve essere considerato a tutti gli effetti il fil rouge dell’intero lavoro, ovvero il tema amoroso onnipresente in ogni traccia: respiri affannosi, fantasmi, lontananza, tensione, paura e tutto il campionario di colori e sfumature cui l’argomento in questione si presta. Anche in Italia c’è chi sa fare musica ad altissimi livelli. Basterebbe accorgersene.
Nota: Il sottotitolo è “Soundtrack For The Cassette Generation”, probabilmente legato alla scelta di pubblicare il lavoro anche in formato musicassetta.
(2008, Prophecy Productions)
01 The Breathtaking Days (Via Lactea)
02 Skygazer
03 Ghost Of A Tape Listener
04 The Graduate
05 Just An Interlude In Your Life
06 Just In Case We’ll Never Meet Again
07 Suspense Music
08 Disco Awayness
09 Atget
10 All Summer Long
11 True Love Is The Oldest Fear
A cura di Emanuele Brunetto