Il nu metal è sempre stato un po’ bistrattato, bisogna ammetterlo. Perché i metallari duri e puri lo vedono come una baracconata fatta da pagliacci, mentre per i rockettari più alternativi è una di quelle insopportabili tamarrate da tenere il più possibile distanti. L’occhio della storia e un minimo di oggettività ci dicono però che è un genere che ha segnato in modo significativo la musica a cavallo fra vecchio e nuovo millennio, sotto svariati punti di vista e alla luce di evoluzioni tra le più disparate avute nel corso degli anni a seguire.
I Korn, va da sé, ne hanno fatto il buono e il cattivo tempo, ergendosi ad alfieri di quest’intero ibrido movimento e raccogliendone per primi i frutti migliori, precipitando poi in un abisso di banalità e cercando infine di rimettersi in pista provando a ricostruirsi. Non troppi altri, fra coloro che hanno cavalcato quel destriero lì, possono vantarsi di aver fatto di più e meglio di Jonathan Davis e soci (i Deftones, certamente, ma quella di Chino Moreno è una band che fin da subito s’è rivolta altrove). E questo qualcosa vorrà pur dire, nel riesame complessivo della loro esperienza discografica.
Trovarsi ora, nel 2022, a discutere di un nuovo album dei Korn ha dunque un sapore un po’ anacronistico, ché davvero le aspettative nei confronti della band erano per quanto ci riguarda ridotte al minimo, nonostante Davis ci abbia sinceramente provato nel corso degli anni (questo gli va senza dubbio riconosciuto). Di certo gli ultimi “The Nothing” (2019) e “The Serenity Of Suffering” (2016) raccontavano di una band ancora valida ma pericolosamente accartocciata su se stessa. E invece… invece succede che Requiem, il loro quattordicesimo lavoro in studio, è un disco che si fa ascoltare con interesse perché riduce all’osso certi eccessi della casa, in favore di una formula più asciutta. Nove tracce per trentatré minuti (la tracklist più corta della quasi trentennale carriera dei Korn) in cui le linee melodiche risultano incisive come poche altre volte nella produzione della band di Bakersfield (vedi l’opener Forgotten o Disconnect).
Le bordate delle sei corde di Head e Munky non sono protagoniste assolute ma quando si ritagliano il giusto spazio ricordano a tutti da dove vengono i Korn (vedi il singolo Start The Healing o, soprattutto, la conclusiva Worst Is On Its Way, che ripesca pure uno scat d’annata), mentre le tastiere che spesso hanno appesantito le trame della band qui lavorano bene al servizio degli elementi principali (vedi Let The Dark Do The Rest). Tra i passaggi più convincenti del disco c’è però sicuramente Hopeless And Beaten, una cavalcata scurissima in cui Davis mescola abilmente growl e pulizia vocale come negli episodi top della sua carriera (stesso impasto che avviene ad esempio anche in Penance To Sorrow).
Registrato con la pandemia sempre sullo sfondo, che ha portato ai Korn tanti problemi (Davis stesso è stato colpito da una forma piuttosto grave e debilitante di COVID-19) ma anche tanto tempo da dedicare al lavoro in studio, “Requiem” non ridarà nuovamente lustro al nu metal e probabilmente neanche agli stessi Korn, i bei tempi sono andati un po’ per tutti i protagonisti di quell’epopea e per il nu metal stesso (lasciamo a voi decidere se questo è un bene o meno), ma ha il non irrilevante merito di tenere a galla con dignità un Davis che si dimostra in ottima forma (l’approccio è più quello del Davis solista che del Davis frontman) e una band che poi, nella spasmodicamente attesa dimensione live, potrà ancora regalare qualche significativo colpo di coda, anche alla luce di quest’ultima apprezzabile prova in studio.
(2022, Loma Vista)
01 Forgotten
02 Let The Dark Do The Rest
03 Start The Healing
04 Lost In The Grandeur
05 Disconnect
06 Hopeless And Beaten
07 Penance To Sorrow
08 My Confession
09 Worst Is On Its Way
IN BREVE: 3/5