Al centro di questa produzione c’è forse la voglia di mantenere strutture sonore e liriche concettualmente semplici, senza però tagliare fuori la possibilità di sotterrare alcuni concetti sotto sottili strati musicali, lasciando all’ascoltare il compito di decifrarne le ambiguità. Su Bassackwards Kurt Vile canta “I was on the beach but I was thinking about the bay / Got to the bay but by then I was far away”, ed è probabilmente qui che si trova la chiave di volta di questo album, che corre e si rincorre, svelandosi piano durante lunghe passeggiate sonore, replicate coraggiosamente su altri tre brani che infrangono con astuzia gli otto minuti, svelando all’ascoltatore più famelico un’attenzione al dettaglio non indifferente. Sembra quasi di sentire il blues desertico dei Tinariwen emergere dal vento in cui sono sommersi questi quattro gioielli.
Non mancano episodi più freschi e vagamente radiofonici: la piacevole Loading Zones, che su un bizzarro suono sintetizzato si sposa con delle linee vocali degne del miglior Bob Dylan. Oppure la divertente Yeah Bones (“When nobody calls you on the phone/ Don’t break your bones”), uno degli episodi musicalmente più riusciti di tutto il disco, con un ritmo funambolico sostenuto da un ottimo groove di chitarra.
“Bottle It In” è un disco poliedrico che coccola il palato di chi vuole berne giusto un sorso e gustare suoni perfetti e testi apparentemente leggeri, ma è anche un lavoro che sa premiare chi decide di seguire le divagazioni in cui Kurt Vile si avventura.
(2018, Matador)
01 Loading Zones
02 Hysteria
03 Yeah Bones
04 Bassackwards
05 One Trick Ponies
06 Rollin With The Flow
07 Check Baby
08 Bottle It In
09 Mutinies
10 Come Again
11 Cold Was The Wind
12 Skinny Mini
13 (bottle back)
IN BREVE: 4/5