Potevano i Kvelertak secernere un album più ignorante e rozzo dell’omonimo debutto? Potevano e l’hanno fatto, grazie all’Inferno. Ascella putrida e buzzurrume sono di casa dalle parti di questi bei signorinelli norvegesi. Riff epici a secchielli, cavalcate death’n’roll à la Entombed irruvidite dal garage-punk degli Hellacopters e voce catramosa che infiamma il microfono, il ricettacolo dei Kvelertak non pecca di sale e spezie, confermando le belle speranze nutrite con l’opera prima del 2010. Una vera e propria sbronza sonica prende il sopravvento con Apenbaring, verniciato com’è di propulsione blacksabbathiana. Fa paura la facilità con cui il sestetto passa da un gergo stilistico a un altro, imbastendo una trama fitta e traboccante di colpi di scena. Le chitarre disegnano limpidi giri su tessuti ruvidi, con quel basso bastardone a far tremare i muri.
Sono francamente basito da questo excursus di 30 anni di storia del metallo che scorrono senza soluzione di continuità tra Evig Vandrar, l’impressionante Nekrokosmos e Undertro (ci stanno Steppenwolf ed AC/DC lì dentro). Senza tralasciare un atteggiamento beffardo e puerile nei brani più cazzoni come Bruane Brenn o Manelyst. Nonostante non le mandino a dire, fregiandosi di un’efferatezza diretta discendente del death metal, la sensibilità melodica espressa in numerosi passaggi strumentali, tra armonizzazioni e giri di un’efficacia disarmante, dimostra che basta ben conoscere la materia per non cadere nel citazionismo privo d’anima. Mi riesce difficile rintracciare un’altra band così eclettica, imprevedibile e avvincente oggi. Forse gli ultimi che m’entusiasmarono così tanto furono i Mastodon di “Leviathan”. Era il 2004 e v’ho detto tutto.
(2013, Roadrunner)
01 Apenbaring
02 Spring Fra Livet
03 Trepan
04 Bruane Brenn
05 Evig Vandrar
06 Snilepisk
07 Manelyst
08 Nekrokosmos
09 Undertro
10 Tordenbrak
11 Kvelertak