L’incontestabile realtà è che il successo dei Lacuna Coil ha sempre vissuto nell’ombra dell’immagine che i mass-media hanno costruito con maestria della cantante Cristina Scabbia. Divenuta sex-symbol e modello anche per molte ragazzine, la Scabbia ha assunto la funzione di motrice che trasporta il resto della ciurma, ridotta al misero termine di mero rimorchio. A curare troppo l’immagine a volte ci si scorda che la principale mansione è quella di fare musica, di tentare d’emozionare chi ascolta con opere d’arte che abbiano un perché, un motivo d’esistere nel mondo musicale. Questa missione i milanesi hanno cominciato a dimenticarla con “Comalies” e, passando per il brutto “Karmacode”, l’oblio è giunto ad un ulteriore stadio con il qui presente Shallow Life. La facile ed efficace formuletta che la band meneghina adotta da due dischi a questa parte non viene qui rivisitata, ricalibrata o evoluta, tutto è come si presume possa essere. Quello dei Lacuna Coil non è più l’interessante metal gotico degli esordi (che con “Unleashed Memories” aveva maturato ottimi spunti), ma un pop che si atteggia a rock duro mascherandosi dietro distorsioni tenute debitamente a guinzaglio per apparire cattive ma non troppo, che ha come unico e palese scopo quello di fornire altro olio agli ingranaggi della macchina multimilionaria dell’intrattenimento radiotelevisivo. Le buone nuove si fermano ai refrain a presa rapida di I Survive e del singolo Spellbound e l’incalzante aria danzereccia di I Won’t Tell You. Il resto, come ogni disco confezionato per far breccia nelle charts, è il solito ammasso di ingredienti scaduti, il rimestamento della minestra insipida che viene riproposta a pranzo, cena, colazione e merenda. Schema praticamente fisso in ogni canzone, si percepisce continuamente la voglia di tentare di sfornare potenziali singoli, mandando a quel paese la concezione di album come flusso narrativo e quadro di un preciso percorso artistico di un gruppo. Qualcuno spieghi ai Lacuna Coil che il nu-metal è acqua passata e che tirare su canzoni come I’m Not Afraid, rischiando di plagiare archetipi niente affatto lusinghieri come i Linkin Park, nell’Anno Domini 2009, non è una mossa di cui andare fieri. L’energia ostentata in Underdog è castrata, la ballata Wide Awake un buon rimedio contro l’insonnia, nemmeno tanto curato nelle sfumature. Ci si accusi di esterofilia, di snobismo, cecità o parzialità di giudizio, ma non è certo questa l’Italia che vorremmo esportare. Creatività che non giunge nemmeno al minimo sindacale, i Lacuna Coil svolgono il compitino tangenti alle consegne, senza azzardarsi di colorare un tantino fuori dal margine. Sia Andrea Ferro che la stessa Scabbia si dimostrano cantanti mediocri, il sound levigatissimo ha un che di innaturale, una produzione talmente patinata e cotonata sacrifica il groove della batteria e del basso. Che rimane da salvare in tutto ciò?
(2009, Century Media)
01 I Survive
02 I Won’t Tell You
03 Not Enough
04 I’m Not Afraid
05 I Like It
06 Underdog
07 The Pain
08 Spellbound
09 Wide Awake
10 The Maze
11 Unchained
12 Shallow Life
A cura di Marco Giarratana