Forse per colpa del caldo o per seguire le isterie musicali del momento, ultimamente capita spesso di leggere pareri poco sereni riguardo alcuni album parecchio attesi di questo 2017. Da queste parti non abbiamo partecipato al gioco al massacro che è stato riservato all’ultimo disco degli Arcade Fire e facciamo altrettanto per quel che riguarda Lust For Life, quinto album di Lana Del Rey.
Non lo facciamo ancor di più dopo avere parlato male (giustamente, a nostro avviso) del penultimo disco della cantautrice americana, quel “Honeymoon” che aveva incomprensibilmente stregato la critica di mezzo mondo. “Honeymoon” fu poi ovviamente un flop commerciale, visto che – rispetto ai precedenti lavori in studio della nostra – non poteva contare su una setlist minimamente decente. Il discorso cambia parzialmente con questo “Lust For Life”, in cui la Del Rey vivacchia, seppur brillantemente.
I picchi assoluti di qualità ai quali l’artista statunitense ci aveva abituato in passato iniziano purtroppo a diventare uno sbiadito ricordo: giusto per sgomberare il campo da ogni dubbio, in questo album mancano canzoni minimamente paragonabili alle splendide “Born To Die”, “Ride” o “Brooklyn Baby”. Va però detto che il disco non annoia, perché Lana Del Rey – puntando sulla quantità ben confezionata – riesce a imbastire una corposa setlist di sedici brani, prodotti in modo eccellente e il più delle volte gradevoli all’ascolto.
L’andazzo si percepisce subito a inizio album, con l’opener Love che è sì un singolo discreto ma parecchio scontato, e la successiva title track, dove la Del Rey – aiutata da The Weeknd – esplora in modo riuscito territori alquanto mainstream rispetto al suo classico stile. Le collaborazioni sono sorprendentemente parecchie (bene quella con Stevie Nicks in Beautiful People Beautiful Problems, meno bene Sean Lennon nella successiva Tomorrow Never Came) e si fanno apprezzare in ordine sparso canzoni dai titoli estremamente ammiccanti quali Heroin, 13 Beaches e Groupie Love. Ma il problema di fondo che ci impedisce di parlare di rinascita della Del Rey è proprio questo: le canzoni piacciono ma nulla più e di certo non possiamo parlare di un album imprescindibile per questo 2017 in musica.
È vero, alcuni guizzi geniali non mancano (White Mustang è tanto breve quanto bella, mentre Get Free è sfacciatamente simile alla “Creep” dei Radiohead, ma nel ritornello riesce a splendere di luce propria), ma da Lana Del Rey sarebbe lecito aspettarsi molto di più: va bene la decadenza come marchio di fabbrica, ma il tempo passato a galleggiare inizia a diventare troppo.
(2017, Polydor / Interscope)
01 Love
02 Lust For Life (feat. The Weeknd)
03 13 Beaches
04 Cherry
05 White Mustang
06 Summer Bummer (feat. A$AP Rocky & Playboi Carti)
07 Groupie Love (feat. A$AP Rocky)
08 In My Feelings
09 Coachella – Woodstock In My Mind
10 God Bless America – And All The Beautiful Women In It
11 When The World Was At War We Kept Dancing
12 Beautiful People Beautiful Problems (feat. Stevie Nicks)
13 Tomorrow Never Came (feat. Sean Ono Lennon)
14 Heroin
15 Change
16 Get Free
IN BREVE: 2,5/5