Vasco Brondi si ritrova in una condizione sconveniente: essere eletto a portavoce di una generazione. Quella più giovane con le tasche vuote e accalcata agli sportelli delle agenzie interinali. Vasco è considerato “uno di noi”, anche lui precario, anche lui “bamboccione”, anche lui figlio “di questi cazzo di anni zero”. Ed è, ripetiamo, una condizione sconveniente, perché ci si aspetta sempre che parli di cose reali, di pezzi di vita, di noie moderne. Il suo secondo disco a nome Le Luci Della Centrale Elettrica, Per Ora Noi La Chiameremo Felicità, nasce così con un handicap: la pretesa del pubblico di ascoltare nuove “canzoni [che] parlano di lavori neri, di licenziamenti di metalmeccanici, di cristi fosforescenti, di tramonti tra le antenne, di guerre fredde, di errori di fabbricazione, dei tuoi miracoli economici, di martedì magri e di lunedì difettosi, di amori e di respingerti in mare, insomma delle solite cose” (sono le parole con cui Vasco ha presentato l’uscita). Il punto è che magari Brondi avrebbe voluto scrivere anche di cose diverse, guardarsi dentro maggiormente, liberarsi in volo dalle strade piene di smog delle città e parlare veramente di Vasco, non della proiezione letteraria che si ha ormai di lui. E invece no, tutto già sentito, come fosse costretto nel suo ruolo, come se dopo “Canzoni da Spiaggia Deturpata”, si fosse sentito in obbligo di rimanere in scia col suo personaggio. Perché, insomma, quello che esce fuori da POLCF è il solito squarcio urbano di Brondi, con le canzoni “di sempre” (il colmo definirle così dopo soli due dischi, vero?), gli urlati soliti, i giochi di parole e calembour efficacissimi e lodevoli che ne contraddistinguono il tocco. Non c’è molto da aggiungere, anzi sì, che l’impianto acustico è arricchito (solo parzialmente) di alcuni inserti di archi, organo e megafono; che ci sono i cammeo di Stefano Pilia (Massimo Volume), Enrico Gabrielli (Calibro 35, Mariposa) e Rodrigo D’Erasmo (Afterhours); che non manca l’apporto psicologico di Giorgio Canali e della banda di Tempesta. Ma nulla più. E ci dispiace davvero scrivere cosi perché a noi Vasco piace un sacco: ci piace come scrive canzoni che lasciano ferite, ci piace il suo essere un po’ naif e genuino, ci piace la sua anima nera. Però vorremmo imparare a conoscerlo meglio, magari fuori da questi cazzo di anni zero.
(2010, La Tempesta)
01 Cara catastrofe
02 Quando tornerai dall’estero
03 Una guerra fredda
04 Fuochi artificiali
05 L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici
06 Anidride carbonica
07 Le petroliere
08 Per respingerti in mare
09 I nostri corpi celesti
10 Le ragazze kamikaze
A cura di Riccardo Marra