Devonté Hynes era un terzo del folle gruppo denominato “Test Icicles” (in origine “Balls”, tanto per intenderci sul giuoco di parole). Il meno contributivo dei tre a livello compositivo, per la verità… ma non importa. Ciò che invece importa è che questi benedetti Test Icicles erano diversi dalla marmaglia dance punk che conoscete… Franz Ferdinand, Killers e compagnia annoiante. Avevano quel “qualcosa”… “luccicanza”, la chiamerebbe il traduttore italiano di “Shining”. Ora, assunto il moniker di Lightspeed Champion, si destreggia in questo suo secondo album tra l’indie-rock/pop che va per la maggiore (e che Pitchfork, ormai superpotenza mondiale al pari della Cina, ci sta forzando giù per la gola come se fosse l’unica forma non dico di musica, ma persino d’arte possibile) e pretese artistiche non da poco. Il fatto è che a tanti non garbano queste pretese artistiche, a tanti non garbano queste alzate d’ingegno… alzate d’ingegno come una ballata per piano e coro greco come non se ne sentivano da tempo immemore (The Big Guns Of Highsmith) o incomprensibili interludi tribali. Il “nuovo pubblico alternativo” preferisce la confortevole noia che ci inonda mese dopo mese, come nei primi anni ‘90 preferiva i cloni di Cobain e Vedder, e come nella seconda metà dei ’90 osannava gli emuli di Gallagher e soci… e ve lo dice chi di questi dischi ne ascolta 30 ogni 30 giorni, e legge quotidianamente i deliri online e offline dei vari trendsetter, veri o aspiranti tali. Il nostro Lightspeed propone sì canzoni fondamentalmente non dissimili da ciò che si ascolta di solito, ma è anche vero che sono assolutamente dissimili, sempre per lo stesso motivo: la “luccicanza” (fatemi causa Kubrik/King). E quelle dannatissime alzate d’ingegno io personalmente le vorrei sentire molto più spesso, me ne farei un bell’album intero, esagerato, pomposo… magari prodotto da Roy Thomas Baker, magari talmente esagerato da far dire “ma che diavolo ha in testa questo tizio”? Sì, perché le cose migliori di quest’album sono proprio quelle alzate d’ingegno, quelle orribili genialate kitsch, nonostante già di suo l’album si difenda bene: belle canzoncine pop rock, gradevoli melodie, scrittura di livello non comune, qualche pezzo sul quale sculettare. Abbi un po’ di coraggio, Devonté… sei buffo, sei strano… il pubblico capirà. E se non capisse… beh, che te ne frega?
(2010, Domino)
01 Dead Head Blues
02 Marlene
03 There’s Nothing Underwater
04 Intermission
05 Faculty Of Fears
06 The Big Guns Of Highsmith
07 Romart
08 I Don’t Want To Wake Up Alone
09 Madame Van Damme
10 Smooth Day (At The Library)
11 Intermission 2
12 Sweetheart
13 Etude Op.3 “Goodnight Michalek”
14 Middle Of The Dark
15 A Bridge And A Goodbye
A cura di Nicola Corsaro