I Linkin Park sono dei reduci. Non perché abbiano passato chissà cosa, ma perché sono stati tra gli alfieri di un genere, il nu metal, che è morto e sepolto da un pezzo. A dire il vero hanno rappresentato la parte più pop oriented del fenomeno, circostanza che gli è valsa numeri di vendite inimmaginabili per quasi chiunque nel nuovo millennio.
I Linkin Park sono dei reduci e lo sanno benissimo anche loro. Chester Bennington ha furbescamente messo le mani avanti in fase di promozione di questo One More Light, settimo lavoro in studio della sua band, presentandolo come un disco di svolta, del cambio di sonorità, un disco che avrebbe diviso i fan. Ecco, pur non essendo noi fan vogliamo tranquillizzarlo: l’album non ha affatto diviso, siamo certi che verrà pressoché unanimemente considerato una delle cose peggiori mai partorite dai Linkin Park (e non solo, forse). Il che, considerando il resto della loro discografia, la dice lunga sul suo valore.
I reduci, consapevoli che il mondo delle chart oggi va in una direzione diametralmente opposta a quella di quando erano loro a cavalcarle, non c’hanno pensato neanche un attimo e hanno scelto di lanciarsi in un disco fortunatamente breve e sfortunatamente pop da far rabbrividire. Il problema non è ovviamente il pop commerciale in sé, che se fatto con tutti i crismi regala album di valore assoluto, ma il modo stesso ruffiano, fastidiosamente falso e quasi canzonatorio nei confronti dell’ascoltatore con cui i Linkin Park hanno creduto di potersi mettere a fare qualcosa che non gli appartiene.
I featuring scelti sono di spessore: ci sono due rapper che ultimamente hanno fatto benissimo come Pusha T e Stormzy, entrambi in Good Goodbye, e c’è una giovane leva del nuovo r’n’b come Kiiara in Heavy. Ma il male sta nell’approccio stesso dei protagonisti: Bennington fa il Justin Bieber, senza averne né il physique du rôle né lo spessore alla produzione, mentre Mike Shinoda, che col suo rappato s’era saputo distinguere, qui si perde non si sa bene dove, risultando praticamente inesistente.
Le melodie provano a essere accattivanti e finiscono invece per essere urticanti e stra-sentite, simbolo di una mancanza di idee che ha trasformato dei wannabe cattivoni nella peggiore delle boy band da talent show. Quello che si sono presi i Linkin Park con “One More Light” non è un rischio, è un biglietto di sola andata per il pensionamento anticipato.
(2017, Warner)
01 Nobody Can Save Me
02 Good Goodbye (feat. Pusha T & Stormzy)
03 Talking To Myself
04 Battle Symphony
05 Invisible
06 Heavy (feat. Kiiara)
07 Sorry For Now
08 Halfway Right
09 One More Light
10 Sharp Edges
IN BREVE: 1/5