Si spera che tutti i dubbi su Lou Barlow siano ormai dissipati. Si spera che non bisogni spiegare ogni volta che Lou quando si mette a buttar giù un nuovo lavoro – nonostante tre dozzine d’anni di carriera – riparte sempre da zero. È così, mettetevelo in testa. E un motivo, fondamentalmente, c’è: la musica per Barlow non è una vetrina, né una di quelle seggiole dove salgono gli illuminati per dire la propria ad Hyde Park. No. Casomai è una postura. Qualcosa di naturale, di quotidiano. Oppure una vecchia abitudine, un vizio che non andrà via mai.
Brace The Wave, il suo terzo disco da solista a 10 anni dal primo “Emoh” (in mezzo nel 2009 c’è stato “Goodnight Unknown”) e a ben 30 dal debutto con i Dinosaur Jr., è un disco pieno di melodie abbozzate in chissà che tovaglioli e in chissà che pomeriggi d’ogni giorno. Canzoni lo-fi, certo; suonate in camera o in giardino, ovvio; personali, sì, chiaro. Ma per nulla ripetizione, per nulla ridondanza e mai “sentito dire”. Perché Moving è un gioiello onirico, Pulse è suonata con sentimento autentico, Wave è salata come un’onda d’oceano e perché Repeat vorresti che non finisse mai. E poi perché, nella foto di copertina, Lou, non si spaventa a mostrarsi invecchiato e scapigliato e con una maglietta sdrucita dei Sonic Youth con la scritta “sonic life”, evidente sintesi della sua esistenza.
Usatelo “Brace The Wave”. Usatelo come disco d’autunno leggermente malinconico. I suoi pezzi non sono egocentrici, non inseguono il successo e non sono memorabili. Tuttavia sono canzoni che cercano una casa e qualche orecchio sensibile. Tanto gli basta.
(2015, Domino / Joyful Noise)
01 Redeemed
02 Nerve
03 Moving
04 Pulse
05 Wave
06 Lazy
07 Boundaries
08 C & E
09 Repeat
IN BREVE: 3/5