Vent’anni di carriera andavano in qualche modo celebrati, anche perché di carriere come quella dei Low non è che se ne siano viste chissà quante a cavallo fra vecchio e nuovo millennio. La coppia Sparhawk-Parker giunge così in questo 2013 tanto alle due decadi d’attività quanto, soprattutto, al proprio decimo album in studio, per una media di una pubblicazione ogni paio d’anni. E di queste pubblicazioni non ce n’è stata una che abbia rappresentato un passo indietro, in un costante crescendo di ricerca e tessitura di melodie.
The Invisible Way, dunque, cade a fagiolo per la struttura stessa che i Low hanno deciso di dargli: Alan e Mimi si spogliano completamente da qualsivoglia sovrastruttura sonora, presentando un album minimale che toglie più di qualcosa ai recenti “Drums And Guns” (2007) e “C’mon” (2011), lavori che avevano visto nuovi e variegati elementi fare capolino nel sound dei coniugi da Duluth. Aspetto non di poco conto, in questo senso, la produzione affidata a Jeff Tweedy, che li ha ospitati nei suoi studi di Chicago. Mr. Wilco ci mette molto di suo nel levigare “The Invisible Way”, tocco evidente in episodi marcatamente folk come Plastic Cup, Clarence White e Mother, tutti chitarra acustica, vocalizzi e poco altro, roba che non era più nelle corde dei Low da parecchi anni.
Per il resto, c’è Alan che lascia alla voce di Mimi più spazio del solito, il che è sempre un enorme piacere visti i risultati ottenuti in due piccoli gioielli come So Blue e Holy Ghost, ma anche in Four Score e nella conclusiva To Our Knees. C’è un brano catchy, pur nella sua semplicità, come Just Make It Stop. C’è l’incontro fra le voci dei due in Amethyst e Waiting, per un palese connubio umano prima che artistico. E la delicatezza di queste composizioni è tale che quando si propaga la deflagrazione elettrica nel finale di On My Own si resta persino spiazzati.
Dal punto di vista delle lyrics e dell’atmosfera generale dell’album, poi, si nota un certo schiarimento verso tonalità più luminose di quel grigio che resta pur sempre il fulcro del Low-pensiero. Un po’ preghiere, un po’ nenie, fra carnalità e vocazioni eteree, queste undici tracce contenute in “The Invisible Way” vanno a comporre l’ennesima storia perfetta a firma Low, una firma ricca di una forza che non tende minimamente a scemare nonostante i vent’anni d’età.
(2013, Sub Pop)
01 Plastic Cup
02 Amethyst
03 So Blue
04 Holy Ghost
05 Waiting
06 Clarence White
07 Four Score
08 Just Make It Stop
09 Mother
10 On My Own
11 To Our Knees