Non è stato e non è facile per i francesi M83 dare un vero e proprio seguito discografico all’eccezionale “Hurry Up, We’Re Dreaming” del 2011, forte di pezzi diventati iconici negli anni come “Midnight City”, “Outro” e “Wait”. Ed è stato forse proprio il successo quasi a scoppio ritardato (complici millemila utilizzi in colonne sonore e spot) di quel disco e di quei brani a consentire alla band nata ad Antibes di concedersi due pseudo capricci musicali come “Junk” (2016) e “DSVII” (2019), ispirati rispettivamente a jingle pubblicitari e videogames degli anni ’80. Album magari anche interessanti, ma che avevano messo da parte l’ambizione, l’epicità, che avevano generato i migliori M83.
A rimettere al centro la voglia di grandeur ci pensa il nuovo, atteso Fantasy, che mette subito in chiaro le intenzioni di Anthony Gonzalez con un inizio da sogno: con l’opening track – la strumentale Water Deep – si chiudono gli occhi e sembra di ascoltare il miglior Vangelis, ma in realtà il brano funge da apripista, da autentico plus per la gemma assoluta dell’album, il singolo Oceans Niagara, che non avrà magari l’immediatezza di “Midnight City” ma cresce minuto dopo minuto, ascolto dopo ascolto, con un finale meraviglioso e toccante. Va molto bene anche con la brillante compattezza pop di Amnesia e con Us And The Rest, una riuscita ballad romantica dove una volta tanto Gonzalez emoziona nella parte cantata (“Night of gold, incoming”). Bene anche Earth To Sea, dal minutaggio sicuramente eccessivo, ma comunque eclettica e con un finale da ricordare.
La seconda parte del disco (pubblicata con qualche settimana di ritardo rispetto alla prima) comincia con Deceiver, che ricorda parecchio le colonne sonore di Cliff Martinez per i film di Refn: non a caso ha in comune con le pellicole del regista danese una struttura che comprende momenti lenti, molto lenti, ma assolutamente validi. Dopo l’eleganza di Fantasy, con i suoi flauti in sottofondo, è il momento di Laura, che insieme a Radar, Far, Gone e Dismemberment Bureau rappresenta forse il momento meno riuscito (e dunque evitabile) del disco.
Sunny Boy è volutamente confusionaria, caotica, ma emerge bene con un ottimo finale, e discorso simile può essere fatto per Kool Nuit, che parte fiacca ma termina benissimo. Quale giudizio finale, dunque, per questo “Fantasy”? La produzione è sublime, il songwriting non sempre è all’altezza, ma non mancano guizzi brillanti, a volte memorabili, frutto di una ritrovata voglia di ambizione: un disco dunque paradossalmente più coraggioso di alcuni meri, sperimentali (se così vogliamo definirli) esercizi di stile. Bentornati.
— 2023 | Mute/Virgin —
IN BREVE: 3,5/5