L’ossimoro di vivere la morte, così come scriverne, di morte, fa paura. Una vita che finisce riduce lo spazio siderale di chi resta e annichilisce senza scampo, perché tra tutti i fatti umani la morte è l’unico da cui non si può tornare indietro. Chiunque abbia perso un affetto durante questa lunga pandemia, in cui un anno sembra durare un giorno, sa bene che la ripresa dal dolore sarà ancora più faticosa.
A Robert Mc Dowell, chitarrista dei Manchester Orchestra, sono occorsi due anni per metabolizzare la morte del padre dopo una lunga malattia, portandolo a rimettere in gioco le carte del processo creativo di The Million Masks Of God, sesto album del gruppo di Atlanta. L’album racconta la storia di un personaggio anonimo, presumibilmente immaginario, che affronta per la prima volta la paura del dolore, il senso di colpa, la tentazione di scappare dalla disperazione della non vita. Ma nonostante le reali intenzioni, il risultato finale non è del tutto all’altezza delle premesse emotive. Non c’è stravolgimento, tormento, disperazione in nessuna delle undici che lo compongono.
Il titolo magniloquente, che lascia pensare a una declinazione di volti ultra terreni, spiana la strada ai testi di Andy Hull, in alcuni casi monotoni e risolutivi in domande a Dio spesso lasciate senza risposta (Angel Of Death, Annie o il secondo singolo Bed Head). Il compito lasciato alle sonorità non migliora la situazione, risolvendosi in accordi estremamente ripetitivi (Telepath, Way Back), in battute prevedibili (Let It Storm) o in atmosfere non abbastanza aggressive (Keel Timing), il che è un peccato se si pensa che a maneggiare la produzione insieme a Hull e McDowell appaiono anche Catherine Marks (The Killers, Alanis Morissette) ed Ethan Gruska (Phoebe Bridgers, Fiona Apple).
A dir la verità, esiste un collegamento tra il precedente “A Black Mile To The Surface” (2017) e “The Million Masks Of God” che può dare un senso ad alcune costanti, come le percussioni di Tim Very in “The Gold” riproposte su Annie o il dualismo melodico di “The Moth” e Keel Timing. È stato lo stesso Andy Hull a rivelare un gemellaggio tra il precedente (incentrato sul passaggio dalla nascita alla morte) e “The Million Masks Of God” che cerca di dare un senso a tutto ciò che sopravvive alla morte. Un artwork surrealista, con una pioggia di persone sospese per aria che ricorda Golconda di Magritte, Obstacle con i suoi ritmi lievemente sincopati e The Internet avvolta da un coro nebbioso sono i tre elementi di rilievo di un album che avrebbe potuto spiccare il volo se solo fosse stato meno ripetitivo.
Il pop corale con venature leggermente aggressive proposto oggi dai Manchester Orchestra non è da cestinare in toto ma si rifà a un’offerta discografica molto inflazionata e spesso non particolarmente apprezzata nel lungo periodo, probabilmente per la difficoltà di renderla godibile in un contesto dal vivo. Hull e McDowell hanno un potenziale creativo che gli consentirà di fare molto più di questo. Per “The Million Masks Of God” vale un vecchio adagio scolastico: è intelligente ma non si applica.
(2021, Loma Vista)
01 Inaudible
02 Angel Of Death
03 Keel Timing
04 Bed Head
05 Annie
06 Telepath
07 Let It Storm
08 Dinosaur
09 Obstacle
10 Way Back
11 The Internet
IN BREVE: 2,5/5