Da un album dei Manic Street Preachers in genere ci si aspetta sempre qualcosa di non banale. Fino al 2010, in oltre venti anni di onorata (e movimentata) carriera, i gallesi erano sempre riusciti a dare alle stampe dischi molto diversi tra loro, ma accomunati da un innegabile alto tasso di qualità. Poi il tonfo inaspettato con la decima fatica – il commercialissimo ed inascoltabile “Postcards From A Young Man” – archiviato con un po’ di ottimismo come la classica eccezione che conferma la regola.
Tre anni dopo i Manics – a loro modo coerenti con il loro credo anticonformista – si riaffacciano sul mercato discografico in maniera decisamente originale: due album nuovi di zecca nel giro di qualche mese. La band già dodici anni fa aveva sperimentato il doppio singolo (“Found That Soul” e “So Why So Sad”, usciti in contemporanea per il lancio del sottovalutato “Know Your Enemy”), ma stavolta il trio gallese alza il tiro. Due dischi che – è bene dirlo – nei chiari intenti della band sono uno agli antipodi dell’altro.
Da una parte “Futurology” (album in uscita nel 2014), che dovrebbe avere una chiara impronta new wave e krautrock. Dall’altra questo Rewind The Film, che con il suo sound incredibilmente mite (le chitarre elettriche sono totalmente assenti) non può che ricordare l’introspettivo “Lifeblood” (2004). Tutto bello, ma se mettiamo da parte la forma e parliamo di sostanza qualche critica va fatta. E non di poco conto.
I passaggi a vuoto sono purtroppo parecchi: 3 Ways To See Despair non dice assolutamente nulla, la title track (nonostante la splendida alternanza vocale tra Bradfield e l’ex Longpigs Richard Hawley) è un polpettone di oltre sei minuti francamente difficile da digerire, mentre Anthem For A Lost Cause (canzone peggiore dell’album) ha un ritornello fin troppo lagnoso anche per certi artisti sanremesi di basso livello.
Tutto male dunque? Per fortuna no: (I Miss the) Tokyo Skyline ci regala un Bradfield nuovamente brillante, la delicata 4 Lonely Roads si avvale della preziosa collaborazione di Cate Le Bon ed il singolo Show Me The Wonder (canzone che sembra uscita dalla penna di Burt Bacharach, scusate se è poco) è gioia pura. L’alternanza di brani perfettamente inutili (la strumentale Manorbier) e altri di discreta fattura (il pop vagamente elettronico di 30 Year War) continua fino alla fine.
Cosa sia accaduto è dunque abbastanza chiaro: i Manic Street Preachers, anziché concentrarsi su un unico sorprendente e variegato album, hanno preferito allungare la minestra. Meglio pubblicare due dischi infarciti di b-side malriuscite e – con la storiella del doppio progetto – scegliere una strada meno coraggiosa ma sicuramente più remunerativa. Peccato.
(2013, Columbia)
01 This Sullen Welsh Heart
02 Show Me The Wonder
03 Rewind The Film
04 Builder Of Routines
05 4 Lonely Roads
06 (I Miss The) Tokyo Skyline
07 Anthem For A Lost Cause
08 As Holy As The Soil (That Buries Your Skin)
09 3 Ways To See Despair
10 Running Out Of Fantasy
11 Manorbier
12 30 Year War