Mettiamo per un attimo da parte il fatto che dal 2003 in poi Marilyn Manson abbia pubblicato tre album piuttosto deludenti (“The Golden Age Of Grotesque”, “Eat Me, Drink Me” e “The High End Of Low”) e che nel complesso si possano salvare appena una manciata di brani, tanti quante le dita di una sola mano. Mettiamo da parte le recenti apparizioni pubbliche di Brian Warner, chiara dimostrazione di come gli anni passino anche per i figli adottivi del demonio. Mettiamo da parte pure le studiate e tristemente banali strategie di marketing che hanno visto il lancio di questo Born Villain accostato a nomi quali Johnny Depp, che in You’re So Vain, cover di Carly Simon inserita fra i contenuti extra dell’album, è accreditato alla chitarra e alla batteria (ma che, per inciso, avrà dato lo stesso apporto che ha dato Topolino a “Kid A” dei Radiohead). Mettiamo da parte tutte queste circostanze, che già da sole potrebbero valere una bocciatura per il Reverendo Manson, e ascoltiamolo quest’ottavo lavoro in studio di un’indiscutibile icona targata anni ’90. Salta immediatamente alla mente una considerazione piuttosto lineare, ovvero come Marilyn Manson sia voluto ritornare Marilyn Manson dopo qualche anno trascorso fuori dal seminato, affidandosi in toto a quei punti di riferimento che ne avevano decretato il successo planetario: un singolo perfetto, No Reflection, il cui incedere somiglia terribilmente a tanti altri singoli del nostro. Quel drumming marziale – vedi Slo-Mo-Tion o Murderers Are Getting Prettier Every Day – che poi, riproposto dal vivo, fa sembrare i suoi concerti lo sbarco in Normandia. Il basso martellante di Twiggy Ramirez, che magari si rigira su se stesso non sfornando chissà quale varietà di riff, ma quei pochi (pochi…) spaccano di brutto, come testimoniato da Gardner o Flowers Of Evil. Un passo indietro alle vene pulsanti di sangue marcio di “Mechanical Animals” e “Holy Wood”, riprese un po’ in tutto l’album ma in particolare in brani come Children Of Chain (una “Love Song” elettronica) o Lay Down Your Goddamn Arms (una “Disassociative” più dura). Una voce, quella di Warner, che recupera parte dell’aggressività da Anticristo in brani come l’opener Hey, Cruel World o Disengaged, a scapito dell’indolenza degli ultimi tempi. E poi gli effetti rumoristici che da sempre condiscono i brani di Manson, vedi l’iniziale tamburo da pistola di Pistol Whipped o il carillon di Breaking The Same Old Ground. A tutto ciò bisogna aggiungere il programming preciso e puntuale di Chris Vrenna e un approccio generale a metà fra l’amato Peter Murphy (come non ricordare che “If I Was Your Vampire” doveva essere, nelle intenzioni di Manson, la nuova “Bela Lugosi’s Dead”) e i Sisters Of Mercy. Niente male per un artista che doveva necessariamente ritrovare se stesso e la sua arte prima di collassare definitivamente. “Born Villain”, pur non essendo neanche lontanamente paragonabile alla trilogia del Verme e pur riciclando vecchi spunti, è comunque la cosa migliore partorita dal progetto Marilyn Manson nell’ultima decina d’anni, rassicurando sul fatto che Warner non solo non è morto ma è pure riapparso, cattivo come come quando è nato.
(2012, Cooking Vinyl)
01 Hey, Cruel World
02 No Reflection
03 Pistol Whipped
04 Overneath The Path Of Misery
05 Slow-Mo-Tion
06 The Gardener
07 The Flowers Of Evil
08 Children Of Cain
09 Disengaged
10 Lay Down Your Goddamn Arms
11 Murderers Are Getting Prettier Every Day
12 Born Villain
13 Breaking The Same Old Ground
14 You’re So Vain (Bonus Track)
A cura di Emanuele Brunetto