Mark Lanegan è un alchimista sonoro. Trasmuterebbe in oro qualsiasi patacca di disco. Ha reso potabile persino la meno che mediocre Isobel Campbell, ed è già tutto dire. Non è una questione di funambolismo o chissà quale impressionante inventiva, no. Il suo fascino risiede nella grazia estetica che avvolge ogni sua apparizione, che sia in solitario o da ospite nelle altrui opere.
Dopo poco più di un anno dall’ottimo “Blues Funeral”, il singer di Ellensburgh si rifà vivo, stavolta affiancato da Duke Garwood. Polistrumentista – ma più orientato verso la chitarra acustica – e autore di quattro album solisti (più diverse collaborazioni a zonzo), Garwood è uno dei più interessanti interpreti del fingerpicking folk contemporaneo, discendente di Jack Rose, Robbie Basho, John Fahey e Sandy Bull, giusto per citare i riferimenti diretti. Il buon Duke ha inoltre supportato Lanegan nel tour acustico del 2010 come opening-act.
Attraversato da tensioni oniriche e ombre sinistre, Black Pudding sorge nelle desolate terre di un blues deforme e scheletrico, seppur immerso in un’aura meditativa. I due lavorano molto di sintesi, Lanegan è di un’efficacia disarmante e dolente, Garwood non è mai sopra le righe e non si lascia oscurare dal blasonato compagno di ventura: è scintillante e pervade ogni singolo brano di sensibilità e intelligibilità melodiche solo di rado sfregiate da stranianti passaggi di sperimentalismo tonale.
Quasi del tutto privo di sostegno percussivo, “Black Pudding” non soffre alcun calo emotivo. Dai richiami all’ultimo Johnny Cash di Pentacostal alle figure distorte nel deserto lisergico di Mescalito (come fosse venuta fuori dalle pagine di Castaneda), dalla trenodia western di War Memorial al gospel sciancato di Last Rung, dal minaccioso fluire di Thank You (che ricorda le ultime derive di Alexander Tucker) alle luci notturne di Driver, ogni dettaglio è al suo posto. Si avvertono inevitabili rimandi a qualcosa del Lanegan d’annata, vedi gli echi di “Boogie Boogie” in Cold Molly o la resurrezione dell’anima oscura di “The Winding Sheet” in Shade Of The Sun. Al solo Garwood tocca aprire e chiudere il viaggio: la title track mutua il tormento di Segovia, Manchester Special avvolge la scena in una calda penombra.
“Black Pudding” arricchisce il catalogo laneganiano mantenendo inalterata la media qualitativa, invero sempre elevata. Per Garwood, invece, questa è la meritata occasione per rivelarsi a un più vasto pubblico.
(2013, Ipecac)
01 Black Pudding
02 Pentacostal
03 War Memorial
04 Mescalito
05 Sphinx
06 Last Rung
07 Driver
08 Death Rides A White Horse
09 Thank You
10 Cold Molly
11 Shade Of The Sun
12 Manchester Special
IN BREVE: 3,5/5