La puzza intossica le prime file. L’addetto ai fuochi infiamma il cerchio con un bastoncino pregno di benzina. Lì vicino, l’imbonitore, smanaccia per incitare la folla. Tutto è pronto. I bambini bevono limonata. Olezzo di sterco si mischia alla tensione. L’imbonitore dà una pacca sulla spalla di Mark Lanegan. “È arrivato il tuo momento” – gli fa. E Lanegan, conciato con abiti sgargianti, prende la rincorsa e va. Il tuffo è spettacolare. Sembra un circo, ma è molto più vero e doloroso di un circo.
Concedere a questa recensione un po’ di immaginazione non è peccato. Inserire Mark Lanegan nel cuore di un orrendo tendone in preda alla sua vita, è forse cinico ma efficace. Soprattutto perché, se c’è qualcuno a cui assegnare questo acrobatico inizio di 2020, è proprio Mark Lenegan. Nel giro di poche settimane, e in pieno caos virale, l’uscita di un libro (l’autobiografia “Sing Backwards And Weep”), che è una gamma di spaventose cicatrici direttamente dal passato grunge, e poi un disco (il suo dodicesimo da solista, arrivato a trent’anni dal primo “The Winding Sheet” del ‘90), che è una sorta di compendio di cinquantacinque anni vissuti pericolosamente.
Straight Songs Of Sorrow è un album-corona di spine. Mark lo indossa conscio della sofferenza. Lo declama, messianico, senza mezze misure: “Libera la mia anima dal vuoto – gorgheggia in The Game Of Love alternandosi alla voce con la moglie Shelley – conosco il gusto del dolore”. Eccolo il concept. Il gusto del dolore. Uno stato d’animo che Mark trasforma in quindici canzoni segnate ora da elettronica scura, ora da elettricità scartavetrata. Rock fosco, zuppo di umidità e sangue. Ma anche di respiri contagiosi. È per questo che gli illustri ospiti che popolano questo albo finiscono per “suonare” Lanegan al cento per cento. Greg Dulli, Warren Ellis, John Paul Jones, Adrian Utley dei Portishead (per citarne solo alcuni) piombano nel notturno di Mark sporcandosi di nero. Complici. Tutti quanti. Coinvolti nella sua via crucis.
Gocciola di tristezza Stockholm City Blues. Probabilmente la perla più pura del Lanegan targato nuovo millennio. Tra violini, chitarre sgualcite e una serie di carte avverse, Mark si trascina avvolto da un sudario. “Pago per questo dolore – sussurra esausto – l’ho messo nel sangue”. In capitoli come Ketamine e Daylight In The Nocturnal House il sentimento è puntellato in tavole di legno vecchio. Lanegan modula la sua caverna crocchiando i denti. È un oracolo di se stesso. È il suo peggior giudice. Lo spietato boia della sua esistenza. “In questo sogno che non posso dimenticare – mugugna in At Zero Below – brucio il mio amore con una sigaretta”.
Ma è nel binomio Ballad Of A Dying Rover/Hanging On che si gioca l’intera partita del disco. La prima è una bolgia oscura, temibile, banchetto del diavolo (“Sono un uomo malato“ – ripete ossessivamente sopra l’eccezionale mellotron di John Paul Jones, con quel “sick sick man” reiterato quasi fosse il sonaglio di un serpente). La seconda, dedicata all’amico Dylan Carlson degli Earth, è una ballata acustica che sa di sopravvivenza. Se ne sono andati tutti, noi aspettiamo ancora la nostra ora – sembra voler dire Lanegan a Carlson contando le piaghe con cui la stagione folle ha ricoperto i loro volti.
Il gusto del dolore, si diceva. È un sapore irresistibile. Maledetto. Ti riempie la bocca come miele e ti fa credere di stare in paradiso. Poi però ti sbatte all’inferno. Mark si scrolla la ghiaia che ha addosso, si aggiusta la giacca bruciacchiata. Il cerchio di fuoco ora è spento. La gente lascia il tendone. Le luci si attenuano. Mark si accende una sigaretta, va via. Come un acrobata a fine turno.
Ho speso la mia vita a cercare ogni modo per morire.
Essere l’ultimo in piedi è il mio destino?
(da “Skeleton Key”)
(2020, Heavenly)
01 I Wouldn’t Want To Say
02 Apples From A Tree
03 This Game Of Love
04 Ketamine
05 Bleed All Over
06 Churchbells, Ghosts
07 Internal Hourglass Discussion
08 Stockholm City Blues
09 Skeleton Key
10 Daylight In The Nocturnal House
11 Ballad of the Dying Rover
12 Hanging On (For DRC)
14 At Zero Below
15 Eden Lost And Found
IN BREVE: 4,5/5