Una grande fetta del pubblico dei Marlene Kuntz non gli ha mai perdonato il progressivo alleggerimento del loro sound perseguito anno dopo anno, le chitarre ripulite poco a poco e rese sempre meno soniche, sempre meno graffianti, con i Sonic Youth sempre più lontani fin quasi a sparire all’orizzonte. Troppo generazionale quel “Catartica” che nel 1994 inaugurò la stagione di Cristiano Godano e i suoi per non lasciare strascichi lunghi due decenni e far avanzare ai fan pretese di riproposizione. Già, due decenni, da poco celebrati con un tour in cui i MK hanno dimostrato come sul palco i rivali siano ancora pochi, in antitesi con quanto proposto discograficamente. Che fosse solo una lunga attesa, così, era l’augurio che ogni adolescente di metà/fine ’90 s’è ripetuto per anni. Una lunga attesa è quella che hanno dovuto affrontare. Lunga attesa è, simbolicamente, il decimo lavoro in studio dei Marlene Kuntz, che tiene fede al suo titolo, alla storia, all’intransigenza di una band che nella propria vita artistica se n’è infischiata del parere di tutti, molto spesso a proprio discapito.
Il già citato tour del ventennale di “Catartica” deve aver davvero riacceso una scintilla divenuta in breve incendio, visto che questo disco presenta i Marlene Kuntz più taglienti e rock del nuovo millennio, dodici tracce che rispolverano le sferzate conservate a lungo in naftalina e un songwriting che gli si addice alla perfezione, anch’esso fra i migliori della recente parabola compositiva della penna di Godano.
Il modo in cui fa ciò, però, non è fortunatamente lo stesso di “Catartica” o “Il Vile”, che oggi sarebbe suonato forse anacronistico e di certo ruffiano, è il modo maturo di una band che conosce i propri punti di forza talmente bene da non aver paura di vestirli con abiti nuovi e al passo con l’anagrafe. L’iniziale Narrazione (ma anche svariati altri tratteggi sparsi qua e là) è col suo andamento spoken un immaginario ponte fra la recente vena cantautorale intrapresa dai MK e la dimensione rock. Le distorsioni tornano a reclamare il proprio ruolo nella fiammeggiante La noia, nei sette minuti di Niente di nuovo col suo conclusivo riff al fulmicotone, negli oltre sei della title track e negli altri sette e passa di Sulla strada dei ricordi, così come nel singolo Fecondità.
Certo un paio di episodi (Il sole è la libertà, Un attimo divino) ricacciano la band nella terra di mezzo di lavori come “Bianco Sporco” e “Uno”, ma poi spunta una traccia come Leda e risboccia l’amore: niente di eclatante, nella sua immediatezza è il brano dei MK più arrembante e orientato al pogo da tanto tempo a questa parte. Ed è proprio l’immediatezza il fiore all’occhiello dell’intero album, intesa non nell’accezione negativa di “semplicità” ma in quella positiva di “carnalità”.
Sorprendendo proprio dove non ci si aspettava affatto sorprese, “Lunga attesa” ha il merito di rilanciare i Marlene Kuntz nel contesto che più gli appartiene, senza quel sapore da “operazione nostalgia” che avrebbe potuto mettere la definitiva parola fine alla speranza di rivederli in questo stato di forma.
(2016, Sony)
01 Narrazione
02 La noia
03 Niente di nuovo
04 Lunga attesa
05 Un po’ di requie
06 Il sole è la libertà
07 Leda
08 La città dormitorio
09 Sulla strada dei ricordi
10 Un attimo divino
11 Fecondità
12 Formidabile
IN BREVE: 3,5/5