In maniera forse inattesa, l’anno scorso Matt Elliott aveva rilanciato il progetto The Third Eye Foundation. Lo aveva fatto pubblicato un disco bellissimo (“Wake The Dead”) e sorprendendo tutti gli storici appassionati del progetto con cui il musicista e songwriter di Bristol si era fatto conoscere al pubblico, facendolo universalmente riconosciuto nello scorso decennio come uno dei talenti più interessanti in circolazione.
Sono proprio quegli stessi ascoltatori storici di dischi come “Drinking Songs” (probabilmente il suo lavoro più apprezzato) a costituire il nocciolo duro dei suoi “follower” in un momento storico che ha meno interesse verso una forma di cantautorato come di composizione (pure nella dimensione alternative) che definiremmo “alta”. Questo è un peccato, perché il già menzionato “Wake The Dead” e gli ultimi album a nome Matt Elliott (“Only Myocardial Infarction Can Break Your Heart” del 2013 e “The Calm Before” del 2016) ci avevano regalato comunque il quadro di un cantautore e compositore che oggi è più consapevole che mai dei propri mezzi e che proprio per questo adesso compone in una maniera più libera e autentica rispetto al passato.
Un songwriter che ha uno stile riconoscibile e ben definito, che qui non si “vergogna” come tanti big a diffondere una raccolta di materiale inedito che costituisce una sorta di selezione di demo registrati negli ultimi tre anni in presa diretta: improvvisazioni spontanee, senza produzioni complesse e senza troppe elucubrazioni cerebrali. Detta così, Songs Of Resignation potrebbe apparire persino un disco facile.
Che ci vuole del resto a registrare delle canzoni solo strumentali in presa diretta e senza nessuna velleità di dedicarsi a produzioni complesse, senza nessuna pianificazione? Sembrerebbe tutto troppo facile. E invece qui scopriamo la vera natura del talento di questo artista: i brani, tutti strumentali, si succedono uno dietro l’altro in composizioni plastiche, ma che seguono evidentemente il pensiero di una mente che è flessibile, ma conoscitrice di forme di composizioni folk in bilico tra neo-classicismo, medievalismo e quel primitivismo americano che qui è meno avanguardistico e più sviluppato come se fosse cinematografia.
Gli accostamenti a Yann Tiersen, con cui Matt Elliott ha peraltro collaborato in passato, ci possono stare, ma qui per fortuna manca ogni compiacimento e/o compiacenza ai gusti del pubblico. Se paragonata ai suoi momenti migliori e più accorti, questa raccolta non appare fondamentale, ma anche questa volta – soprattutto questa volta – c’è un uomo solo (oppure, invertendo l’ordine delle parole, solo un uomo), che esprime per se stesso la sua arte e così ci regala un pezzo di sé.
(2018, Autoprodotto)
01 Spring
02 Song Of Resignation
03 Summer
04 Song For Your Futur Solitude
05 The Cold
06 A Loop Of Flowers
07 Prayer
08 The Willing Victim
09 Va Te Faire Foutre
IN BREVE: 3/5