Giunti a trent’anni di attività costellati di pubblicazioni a cadenza quasi annuale (salvo il quadriennio 2002-2006), e avendo generato, in questi tre decenni, un’area d’influenza che valica i confini del garage-hard-grunge, sbilenco mondo di cui sono indiscussi sovrani, i Melvins sono nella invidiabilissima posizione di poter fare quel che cazzo suggeriscono loro le idee. Le quali, come tutti saprete, non sono mai attinenti alle convenzioni più in voga. Far partire The Bride Screamed Murder con The Water Glass, riffone grasso come un hot-dog zeppo d’olio e salsine ipercaloriche stroncato da uno scarno swing sciamanico a botta e risposta, non è certo roba che una comune mortale band dedita a sonorità pesanti può permettersi. L’ennesimo parto della premiata ditta Osbourne/Crover, anche in questa sede affiancata dai due Big Business Jared Warren al basso e Coady Willis a condurre con lo storico Dale lo stereofonico viaggio a due batterie, è quindi nel segno della consueta sperimentazione delle strutture di una forma-canzone che le è sempre andata dannatamente stretta. Sono frequenti i lunghi break di batteria che spezzano il flusso melodico – l’aggettivo va preso con le dovute cautele, lo sapete – disposto da Osbourne. Ed è con altrettanta frequenza che si rintracciano rimandi ad uno dei picchi della discografia del combo di Aberdeen, Wa, quello “Stoner Witch” che rimane pietra angolare immune dall’erosione del tempo: il riffing di Evil New World God, I’ll Finish You Off. Carico di arresti e ripartenze, “The Bride Scream Murder” contiene ognuno degli elementi stilistico-filosofici dell’ortodossia melvinsiana: slabbrature doom intercalate in aperture più muscolari (in Inhumanity And Deathalzi la mano chi non sente l’ira dei recenti Entombed, che ai Melvins devono davvero parecchio), scorie di Black Sabbath come se piovesse e tracciati vocali fruibili sì, ma non intuibili a priori. Non di rado vengono colti dalla consueta esigenza di non prendersi troppo sul serio ed è per questo che giocano un po’ a fare i Tomahawk del discutibile “Anonymous” nella pausa di Pig House o a chiudere in un rumorismo à la John Zorn esorcizzato Hospital Up (dove convergono Fugazi e qualcosa dei Soundgarden da b-sides). E non è da considerare poi così seriamente la rivisitazione del classico My Generation degli Who, trasfigurato in un narcolettico doom da sette minuti e mezzo da affrontare con la dovuta calma per chi si spazientisce al cospetto di potenziali sacrilegi, per di più di durata non proprio radiofonica. Certo, P. G. x 3 serve solo ad aumentare il minutaggio complessivo strizzando l’occhio ai Fantomas ed in verità non si intercettano vette che ci fanno balzare letteralmente il culo dalla sedia, ma chiedere ai Melvins di concederci capolavori dopo averci massacrato per tutti gli anni Ottanta e Novanta con dischi di valore assoluto ed indiscutibile, equivale a mancar loro di rispetto. E noi, di quanto sono stati in grado di donarci, ne siamo memori e riconoscenti. Ci sta bene così.
(2010, Ipecac)
01 The Water Glass
02 Evil New World God
03 Pig House
04 I’ll Finish You Off
05 Electric Flower
06 Hospital Up
07 Inhumanity And Death
08 My Generation
09 P. G. x 3
A cura di Marco Giarratana