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Melvins – Thunderball

Dubitiamo fortemente della propensione dell’ormai più che sessantenne King Buzzo (conosciuto anche come Buzz Osbourne, meno con il suo nome Roger, quasi offensivo per la sua stravaganza) alle convenzioni del mercato discografico. Non lo era all’apice economico delle vendite mondiali di album, ove l’apprezzamento di Kurt Cobain gli fruttò un contratto con la Atlantic di probabilità statistica pari a una vincita al SuperEnalotto; sarebbe stato redditizio seguire la corrente almeno un po’, ma lui e l’eterno sodale Dale Crover semplicemente hanno continuato a fare il cazzo che gli pareva. Figuratevi oggi, dove il mercato discografico è sostanzialmente quello dei collezionisti e le vendite si misurano in streaming gratuiti (talvolta addirittura comprati, sembrerebbe): Buzzo semplicemente continua a registrare e pubblicare quello che gli passa per la testa, con la formazione che gradisce di più al momento.

Qui infatti non ci troviamo di fronte alla formazione classica della band originaria di Aberdeen (ma ormai californiana da decenni): il sempre presente Crover citato sopra è in altre faccende affaccendato, quindi la formazione denominata Melvins 1983, alla sua terza uscita con questo Thunderball, non lo vede nella sua (in)consueta posizione al basso (normalmente è uno dei più leggendari batteristi della storia del rock alternativo), che è qui ricoperta da Ni Maitres, misterioso artista che aveva già aperto i tour solisti di Buzzo con Trevor Dunn. A lui e Buzzo si aggiunge Mike Dillard, batterista della formazione 1983 e Void Manes che si occupa di suoni e rumori. La peculiarità della formazione tuttavia non si traduce in una peculiarità dei suoni, che rimangono quelli consueti da qualche anno, né della scrittura, anch’essa abbastanza uniforme nella sua unicità.

Non si ritrovano le peculiarità della formazione 1983, ovvero influenze più punk e meno stravaganze: si naviga nello sludge più profondo, che si muove con essenza bradipea anche quando in Victory Of The Pyramids sembra accelerare, per poi ritornare al marchio di fabbrica degli anni d’oro. Brani estremamente lunghi che sembrano riportare a “Gluey Porch Treatments” dell’87 (Short Hair With A Wig) caratterizzano l’album, con un suono più fangoso e scuro del precedente, ottimo, “Tarantula Heart” dello scorso anno. Grunge, qualcuno potrebbe chiamare questo suono. Un’uscita di qualità tutt’altro che essenziale ma che ci regala altri quattro ottimi pezzi di marca Melvins, oltre a un gingillino noise ambient che sfrutta le qualità dell’ospite Void Manes (Vomit Of Clarity). 

2025 | Ipecac

IN BREVE: 3/5

Nicola Corsaro
Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.