È il 1968 e negli Stati Uniti soffiano i venti della protesta (per la guerra in Vietnam) e della rivendicazione (dei diritti sociali delle minoranze), entrambi uniti sotto la stessa egida culturale. Sono anni di fermento creativo, terreno fertile per la genesi di nuovi generi e capolavori seminali, basti ricordare che solo in quell’anno uscirono, tra gli altri, il“White Album” dei Beatles, “A Saucerful Of Secrets” dei Pink Floyd, “Beggars Banquet” degli Stones e “Music From Big Pink” della The Band.
In questa eccitazione generale, la giovane cantautrice del Mississippi Bobbie Gentry, al secolo Roberta Lee Streeter,forte delle vette raggiunte l’anno prima con “Ode To Billie Joe”(prima posizione nella classifica Billboard 200 e disco d’oro),diede alle stampe il suo sophomore, The Delta Sweete, uno scrigno contenente un southern-country/folkdalle tinte rhythm and blues. Forse oscurato dall’Ode al suicidio di Billie Joe MacAllister, questo disco, narratore di spaccati di vita del Sud con tutti gli archetipi del caso, fu accolto tiepidamente dalla critica dell’epoca che lo ritenne un mero discreto esercizio di musica country. Personalità forte quella della Gentry, seppe dar voce al suo gran talento compositivo e artistico in quegli anni, apparentemente libertini e liberali in superficie ma ancora arroccati dietro retaggi maschilisti – tutt’ora presenti, tra l’altro. Allo stesso tempo, però, seppe alzarsi dal “tavolo da gioco” sul finire degli anni ’70, ritirandosi dalle scene, scomparendo in una nuvola di mistero e oblio.
Cinquantuno anni dopo Jonathan Donahue e Grasshopper pubblicano con la Bella Union il frutto di un’operazione concettuale importante: diradare quell’alone di mistero e di dimenticanza attraverso una propria rilettura di “The Delta Sweete”. E lo fanno alla loro maniera,con atmosfere dreamye arrangiamenti delicati, con ritmiche raffinate dall’attitudine quasi jazzy,per non allontanarsi troppo dalla dimensione ontologica del disco.
A completamento di questo disegno artistico, i Mercury Rev aggiungono quel pizzico di sapidità necessario, ossia affidare il cantato di ogni pezzo a voci femminili diverse e a tal proposito tirano fuori dal mazzo solo regine di cuori: Norah Jones, Hope Sandoval (Mazzy Star), Rachel Goswell (Slowdive), Laetitia Sadier (Stereolab), Phoebe Bridgers, Marissa Nadler, Beth Orton, Vashti Bunyan, Margo Price, Suzanne Sundför e Lucynda Williams a cui viene affidata la bonus track, ossia la celebre Ode To Billie Joe. Senza dimenticare Carice van Houten, conosciuta più per le sue apparizioni sul grande schermo (Game Of Thrones) che per le sue doti canore.
Rispetto alle versioni originarie, i brani talvolta vengono ricamati con trame neo soul (Okolona River Bottom Band), talaltra restano sospesi e rarefatti, impreziositi dal peculiare tessuto vocale delle varie Sandoval, Goswell e Bridgers. Non mancano episodi di maggiore marca rhythm and blues (Tobacco Road) e altri dalle atmosfere più dark, come in Refractions ove sono generate dall’incontro tra la voce della Nadler e le onde Martenot.
Complessivamente i Mercury Rev dimostrano di riuscire nei loro intenti, cioè restituirci le infinite sfumature del talento artistico della Gentry, ma soprattutto lo fanno con qualità, non risparmiandosi, osando e aggiungendo una preziosa freccia nella faretra del loro canzoniere.
(2019, Bella Union)
01 Okolona River Bottom Band (feat. Norah Jones)
02 Big Boss Man (feat. Hope Sandoval)
03 Reunion (feat. Rachel Goswell)
04 Parchman Farm (feat. Carice van Houten)
05 Mornin’ Glory (feat. Laetitia Sadier)
06 Sermon (feat. Margo Price)
07 Tobacco Road (feat. Susanne Sundfør)
08 Penduli Pendulum (feat. Vashti Bunyan & Kaela Sinclair)
09 Jessye Lisabeth (feat. Phoebe Bridgers)
10 Refractions (feat. Marissa Nadler)
11 Courtyard (feat. Beth Orton)
12 Ode To Billie Joe (feat. Lucinda Williams)
IN BREVE: 4/5