Certo che Jonathan Donauhe è duro a morire. Non passa anno, infatti, che non si scervelli sul da farsi, sui possibili rinnovamenti da porre, sulle strade da far battere ai suoi Mercury Rev per non mollare. Non tanto per vanità, quanto per rispettare un passato illustre che ha visto la band (certo con tutta un’altra formazione, con Dave Friedmann a pieno regime) assoluta protagonista di certa psichedelia di rimando con album come “Yerself Is Steam” (’91), “Boces” (’93) o “Desert’s Song” (’98). Oggi Donahue (assieme a “Grasshoper” Mackiowiak, Jeff Marcel e Carlos Molina), fa uno sforzo doppio. Porta a compimento non uno ma ben due dischi: uno per la V2 dal titolo Snowflake Midnight. L’altro (“Strange Attractor”) autoprodotto ed a disposizione in rete per chi si iscrive alla mailing list del gruppo. Uno con coniglio scuro in copertina, l’altro con un gatto persiano. Scrivendo dell’uscita (per così dire) ufficiale (anche se ormai pare una distinzione che fa sorridere), possiamo dire che “Snowflake Midnight” è un album livido. Un disco fatto di strutture gelide che finiscono per ustionare. Un lavoro che diviene spesso inafferrabile, che vola lontano anni luce dall’ascoltatore e che è cronaca personalissima di un profondo percorso onirico – Dream of a young girl as a flower, ma anche A squirrel and I (Holding on… and then letting go) – e per questo spesso chiuso a riccio, scontroso, intrattabile, impermeabile. Il ritorno dei Mercury Rev non lascia, dunque, indifferenti. Pezzi come People are unpredictable (There’s no bliss like home) delineano bene una cupezza d’animo ed una ricerca stilistica che si fa specchio infranto e umore nero. Ciò nonostante sembrano affacciarsi tutti i tratti che, nonostante i diversi avvicendamenti, hanno reso famosa la band newyorkese: la voce di Donahue tagliente come vetro, i sintetizzatori che colpiscono in piena pancia, l’atmosfera dream-pop che è libro di storie arcane, l’utilizzo sapiente di inserti rumoristici, il lavoro tastieristico che è a metà strada tra new-age e dark, il piglio elettronico tra i migliori della scena (ascoltare per credere la bella Runaway raindrop). In questo disco si avverte il peso sulle spalle, i dolori muscolari e quelli ossei di una band che si trascina fuori dall’inverno faticoso degli ultimi anni. Un mix di sintetico ed elettrico che funziona bene soprattutto quando fuori si scatena un acquazzone. In Faraway from cars, poi, c’è un non-so-che di islandese: tra le suggestioni trasognanti di Björk, gli spettri malvagi dei Múm e la magia inondante luce dei Sigur Rós. Un chiaroscuro fatto di aperture e impressionanti sprofondamenti in depressioni, tra pianoforti struggenti e tastiere eteree, clapping e synth, “tears” e cars”, ossessionanti “here” e “away”. Dunque un disco livido come già detto. Un disco da “capire”, da psicanalizzare. Ma è il destino dei Mercury Rev questo, sono le normali corde di Donahue. Chi non se la sente, lo eviti pure. Nessuno si offenderà.
(2008, V2)
01 Snowflake In A Hot World
02 Butterfly’s Wing
03 Senses On Fire
04 People Are So Unpredictable (There’s No Bliss Like Home)
05 October Sunshine
06 Runaway Raindrop
07 Dream Of A Young Girl As A Flower
08 Faraway From Cars
09 A Squirrel And I (Holding On… And Then Letting Go)
A cura di Riccardo Marra