Se c’aggiungiamo che Strange Peace è anche il loro terzo album, quello scolasticamente considerato della maturità, la storia assume i connotati del film, visto che si tratta anche del migliore fra i tre. I primi due omonimi, rispettivamente del 2012 e del 2015, avevano già messo in luce le abrasioni di cui i Metz sono capaci, pescando in lungo e in largo nella tradizione post hardcore di formazioni quali Big Black (giusto per restare in orbita Albini) o Jesus Lizard. Ma è qui che la band mette a posto ogni sfumatura, valorizzando ancor di più le proprie quotazioni già in inarrestabile ascesa.
La direzione scelta dai Metz, la cui realizzazione è stata consequenzialmente affidata ad Albini, va nel senso di un rallentamento complessivo. Chiariamo: non è che in “Strange Peace” non ci siano gli assalti all’arma bianca che i tre avevano già fatto in passato (a testimonianza basterebbero da soli i 75 secondi di Dig A Hole); piuttosto alle esplosioni ci arrivano in modo meno diretto, con un avvicinamento graduale fatto di giri ossessivi, tempi morti e putridume che cola via dai loro strumenti, come nella traccia d’apertura Mess Of Wires o nella seguente Drained Lake, piene zeppe di clangori metallici, oppure in Cellophane che è puro punk 2.0, per non parlare di Common Trash che è l’esempio più calzante di tutto quanto s’è detto.
Sta tutto qui l’ormai consueto apporto di Albini: prendere ciò che la band è sul palco e cristallizzarlo sul supporto fisico, e chi ha visto i Metz dal vivo prima di ascoltare quest’album non potrà che rendersene inevitabilmente conto. Finché ci saranno in circolazione un ingegnere del rumore come Steve Albini e band come i Metz che bramano di chiudersi in studio con lui, certe sonorità non perderanno mai il loro marcescente fascino.
(2017, Sub Pop)
01 Mess Of Wires
02 Drained Lake
03 Cellophane
04 Caterpillar
05 Lost In The Blank City
06 Mr. Plague
07 Sink
08 Common trash
09 Escalator Teeth
10 Dig A Hole
11 Raw Materials
IN BREVE: 4/5