Nelle intenzioni di Moby questo Innocents doveva essere un album corale. E bisogna ammettere che Melville ce l’ha messa davvero tutta per centrare l’obiettivo, per aprirsi, per aprire il suo studio di registrazione, per non rimanere rinchiuso da solo a produrre musica. Quindi dentro il produttore-guru Mark Stent a tessere la tela fianco a fianco col “tiranno”. E dentro anche tutta una serie di ospiti di lusso, per provare a dare un tocco di novità all’album e di conseguenza alle produzioni a firma Moby, ultimamente piuttosto sottotono.
Nonostante i buoni propositi, però, il risultato non è impeccabile e risulta raggiunto solo in parte: vedi Almost Home che fa un po’ il verso all’ultimo Bon Iver (complice in ciò il falsetto del guest Damien Jurado); vedi A Long Time che prova ad essere una nuova “Natural Blues” senza riuscirci; vedi The Perfect Life, che pesca nuovamente a piene mani nella tradizione gospel – costante della discografia del producer newyorkese – ma nella quale l’apporto dell’accreditato Wayne Coyne dei Flaming Lips non va oltre il compitino. La sua presenza poteva essere sfruttata meglio.
Vedi, infine, The Lonely Night, attesissima collaborazione con niente poco di meno che Mark Lanegan: la sua performance vocale è sempre sugli stessi livelli, ergo inappuntabile, il problema è che questo brano non fa parte di un album dell’ex Screaming Trees bensì di “Innocents” di Moby. Che c’ha messo di suo Melville? Fare leva solo ed esclusivamente su una delle voci più profonde del panorama mondiale suona a dir poco come una furbata.
Sarà una coincidenza, ma le note positive vengono quando entrano in gioco le donne. A Case For Shame e Tell Me, forti della meravigliosa voce della canadese Cold Specks, avvicinano Moby a sonorità trip hop sempre latenti ma mai pienamente espresse nella sua musica (e presenti anche in Saints). In The Last Day, invece, c’è Skylar Grey alla voce e allora il trip hop lascia spazio a venature dreamy che ne fanno uno degli episodi migliori dell’album. Al pari della cinematografica Don’t Love Me, in cui è Inyang Bassey a dar sfoggio delle proprie doti vocali.
Completano il disco due strumentali, l’ambientale Everything That Rises, posta ad inizio tracklist, e Going Wrong coi suoi soffi industriali, mentre la conclusione è affidata a The Dogs: qui è Moby stesso a prestarsi al canto, oltre nove minuti di un’elegia straniante che sintetizza correttamente il concept dell’album (la debolezza umana, come da dichiarazioni dell’autore).
Da apprezzare, in definitiva, l’allontanamento da quella formula danzereccia che aveva un po’ stufato, così come la generale ricerca più dell’atmosfera che dell’impatto. “Innocents” non eguaglia gli apici della discografia di Moby, non partorirà probabilmente alcuna hit epocale (di quelle da spot di compagnia telefonica, per intenderci) ma segna quantomeno un passo avanti rispetto all’ultimo deludente “Destroyed”, aprendo per Moby nuovi ed interessanti scenari produttivi.
(2013, Mute)
01 Everything That Rises
02 A Case For Shame (with Cold Speck)
03 Almost Home (with Damien Jurado)
04 Going Wrong
05 The Perfect Life (with Wayne Coyne)
06 The Last Day (with Skylar Grey)
07 Don’t Love Me (with Inyang Bassey)
08 A Long Time
09 Saints
10 Tell Me (with Cold Specks)
11 The Lonely Night (with Mark Lanegan)
12 The Dogs