Motivi per destare interesse i Molchat Doma ne hanno parecchi e tutti comprensibili: in primis la loro provenienza, ovvero Minsk, in Bielorussia, certo non un crocevia tra i piĆ¹ battuti dell’immaginario artistico occidentale; poi il modo stesso in cui un paio d’anni fa hanno iniziato a farsi notare, ovvero su YouTube prima e TikTok poi, roba (soprattutto la seconda) che associata alla loro provenienza rischia di mandare i neuroni in cortocircuito; infine questo nuovo contratto con Sacred Bones, etichetta dell’estremo che difficilmente mette le proprie mani su progetti che non abbiano qualcosa da dire/dare.
Monument ĆØ il loro nuovo album, il primo per la label di base a Brooklyn, ed ĆØ l’evidente e legittimo tentativo del trio di uscire dal proprio contesto geografico di riferimento per fare breccia nel mondo anglosassone (cominciando dai titoli dei brani, presentati stavolta sia nell’alfabeto cirillico che in quello latino). Come per i precedenti lavori (“Š” ŠŗŃŃŃ Š½Š°ŃŠøŃ Š“Š¾Š¼Š¾Š²” del 2017 e “ŠŃŠ°Š¶Šø” del 2018), anche qui siamo dalle parti di un algido e tetro pastone di post punk e new wave che, a differenza di quello di altri colleghi revivalisti, si fregia di una patina vintage tanto formale quanto sostanziale che lo rende a suo modo interessante.
Se vi ĆØ capitato di visitare la Russia o un’altra delle ex Repubbliche Sovietiche, avrete anche provato ad accendere la TV e sicuramente avrete beccato una di quelle emittenti locali che ti ricacciano indietro come se il tempo si fosse fermato agli anni ’80. Ecco, giĆ a partire dall’iniziale Utonut’, una synthwave aliena che mette insieme Kraftwerk, New Order e i primi Depeche Mode, la sensazione ĆØ esattamente quella. Ma se all’inizio l’effetto ĆØ straniante, poi, mano a mano che Obrechen fa scorrere immagini da fotoromanzo, Discoteque alza i ritmi della sala da ballo, Otveta Net e Leningradskiy Blues sembrano partorite dai Joy Division se si fossero formati a San Pietroburgo (l’approccio vocale di Egor Shkutkom, peraltro, deve piĆ¹ di qualcosa a Ian Curtis), tutto inizia ad avere un senso.
Ed ĆØ un senso che non dipende solo dal ricercato cappotto lo-fi che i Molchat Doma si cuciono addosso, non solo dalla morbosa attenzione per l’esotico che puĆ² inizialmente spingere ad ascoltarli. “Monument” ĆØ glaciale, ĆØ alienato e alienante, parla di anonimi blocchi di cemento armato e distese di neve a perdita d’occhio, di assenze e mancanze incolmabili, di scenari che furono e che ciclicamente ritornano. E lo fa in un modo convincente perchĆ© onesto.
(2020, Sacred Bones)
01 Utonut’
02 Obrechen
03 Discoteque
04 Ne Smeshno
05 Otveta Net
06 Zvezdy
07 Udalil Tvoy Nomer
08 Leningradskiy Blues
09 Lubit’ I Vypolnyat’
IN BREVE: 3,5/5