La colonna sonora perfetta per un pianto a dirotto, interrotto qua e là da vaghe riprese, da sorrisi ai limiti del collasso dei nervi, mentre fuori tutto è così quieto, così normale che ci si domanda quale possa essere il motivo di tanta costernazione esplosa con fragore tra le mura della stanza. Il vento immortale di cui discorrono i Mono, agendo di metafora, potrebbe essere quello dei pensieri umani che comandano i sentimenti e viceversa, delle morti e delle resurrezioni interiori di ognuno di noi, la fragilità dell’esistenza umana, quest’ultima tanto sfuggevole e rapida da non farci rendere conto a volte del suo fluire. Potrebbe essere un racconto, oppure una rassegna di immagini pittoriche che sbiadiscono l’una sull’altra, mentre il colore piove sul pavimento. Le lunghe suite intessute dal quartetto giapponese sono strette parenti dell’escapismo orchestrale che dai Godspeed You! Black Emperor in poi è divenuto fondamento per una certa costola del post-rock. I Mono si fanno apprezzare più di altri colleghi (tiriamo un nome a caso: gli Explosions In The Sky) per aver rinnegato il dogma dell’arpeggino quadrato piazzato ovunque e per quel senso di vera e propria afflizione interiore che zampilla fuori da ogni singola traccia. Cinque dei sette pezzi in scaletta superano i dieci minuti di durata, ma non si sentono nemmeno sul groppo. Parecchio lunghi i segmenti in cui le percussioni sono assenti, salvo poi subentrare imperiose, come nei rimbombi di Burial At Sea, o in supporto di The Battle To Heaven, odissea da oltre dodici minuti nella quale sgorgano distorsioni fin lì tenute a bada. Il flusso ininterrotto di Hymn To The Immortal Wind non presenta alcuna soluzione di continuità, tant’è che potremmo intenderlo come un’articolata sinfonia suddivisa in sette momenti consanguinei. La bravura dei Mono sta nel descrivere emozioni tanto basilari ed universali in maniera raffinata, senza cadere mai nel luogo comune o nel melenso. Pure As Snow è alta poesia strumentale che ricorda la coscienza storica votata all’indagine spirituale tipica di Borges. Invece mai titolo riuscì in sole tre parole a racchiudere l’essenza della composizione alla quale dona identità: “Burial At Sea” è realmente la narrazione del sotterramento di un corpo esanime, mentre tutt’attorno è mesto dolore tra gli spumeggi d’un mare arrossato da un sole decadente (l’organo fisso su una nota in principio gli da un tono austero, quasi sepolcrale). Soltanto sul finire le nubi del pianto sembrano diradarsi lasciando penetrare timidi raggi di tranquillità, leggera ripresa verso l’alto che si tramuta in vigorosa liberazione che Everlasting Light esemplifica con perfezione. Se poi ci mettiamo che la cerimonia d’apertura è affidata ad un brano del calibro di Ashes In The Snow, che amalgama l’essenza dei Rachel’s in un contesto dilatato e gravido di soundscapes che sconfinano in un luogo imprecisato dell’anima, non si può che rimanere folgorati sin da subito da questo disco. C’è un alto contenuto letterario-descrittivo in questi sonetti strumentali, che coabita con l’indole da soundtrack che da sempre è fiore all’occhiello del gruppo nipponico. Il vento immortale soffia nella penombra, ad esso i Mono innalzano accorati inni d’un presente che è già passato.
(2009, Temporary Residence)
01 Ashes In The Snow
02 Burial At Sea
03 Silent Flight, Sleeping Dawn
04 Pure As Snow
05 Follow The Map
06 The Battle To Heaven
07 Everlasting Light
A cura di Marco Giarratana