Lasciatelo in pace dov’è, Dante Alighieri. Lasciate perdere i suoi inferni. Non c’è bisogno di chiamare in causa il Sommo, anche se il vostro album si chiama Requiem For Hell. Messaggio destinato ai Mono, messaggio destinato a tutti quelli che scrivono di questo nuovo album dei giapponesi, il nono della loro produzione.
Perché? Perché è giusto non farsi distrarre da strani accostamenti e concentrarsi sulle canzoni. Sei suite, di nuovo setacciate dalle mani sapienti di Steve Albini, e di nuovo vive. Di nuovo suonate come forse non accadeva da tempo a “Taka” Goto e compagni. Il 2011 per tutti i Giapponesi è stato uno spartiacque, il disastro di Fukushima ha segnato le vite di tutti. Cinque anni dopo, la voglia dei Nostri è di tornare a dedicarsi alla musica in quanto tale.
E lo si vede, ad esempio, dalla suite title track. Un fiume in piena di 18 (diciotto) minuti. Una cavalcata ad altissimo grado di elettricità: tinte prog più che post rock che suonano la carica di un mondo, spesso troppo meccanico. Ma ci sono anche le ballate dove non c’entra più la tristezza, c’entra il trasporto, la voglia di imbracciare gli strumenti. Ely’s Heartbeat e Stellar, tra archi e suoni morbidi ben rotondi, volano tra l’immaginifico e il trasognante, Death in Rebirth sfoggia il nocciolo del suono (eccola la zampata di Albini).
Un album vero, vibrante, mai di maniera, questo “Requiem For Hell”. Dove alla fine i riverberi di The Last Scene ci riportano al senso cinematico di una band talmente innamorata della marea degli umori che, in altre occasioni, aveva finito per patirla e finirci affogata. Stavolta no. Stavolta c’è un fuoco che arde, non quello dell’inferno di Dante, ma ugualmente spettacolare e luminoso.
(2016, Temporary Residence / Pelagic)
01 Death In Rebirth
02 Stellar
03 Requiem For Hell
04 Ely’s Heartbeat
05 The Last Scene
IN BREVE: 3,5/5