Matthew Bellamy ha sempre avuto velleità classicheggianti, figlie di una formazione pianistica mai accantonata. E c’ha provato parecchie volte a inserire questa sua “passione” all’interno dei brani dei Muse, con successo in alcuni casi, vedi un paio di episodi all’interno di “Absolution” (2003), meno in altri, vedi l’abuso fattone in un album come “Black Holes And Revelations” (2006). E’ quindi con un po’ di comprensibile titubanza che andavano prese le anticipazioni sul nuovo lavoro dei Muse, quando lo stesso Bellamy ha cominciato a parlarne come di un album dal forte impatto orchestrale e impregnato di citazionismo classico. Non perchè Bellamy non sia capace di comporre in quel senso, piuttosto perchè l’amalgama col resto della band ne è risultata in passato compromessa. Poi arriva questo The Resistance, il lettore parte e t’accorgi che non è cambiato nulla. Ci prende in giro il buon Matthew? La traccia di apertura, il singolo di lancio Uprising, va semplicemente skippata. Non è da scartare, non è questo il motivo, ma appare identica ad altri 4/5 singoli della formazione britannica, che decide ancora una volta di non abbandonare lo schema di successo che li ha resi protagonisti delle tv musicali: andamento marziale, qualche schitarrata patinata e la solita variopinta prova canora del vocalist. La seguente Resistance ha quantomeno il merito di proporre i Muse sotto un’altra veste, intenti in un rock sonico che ricorda tanto i primi Mars Volta. Da qui in poi c’è poco da salvare: Undisclosed Desires, Guiding Light, Unnatural Selection, MK Ultra e I Belong To You sono brani senza mordente che, pur suonati benissimo, risultano oltremodo edonistici. Per i soli membri della band, s’intende. Discorso diverso per United States Of Eurasia: l’incipit è affidato a una dolce nenia che riporta direttamente agli esordi di “Showbiz” (1999), ma… ci colga un fulmine se quelli che si sentono subito dopo non sono i Queen di “Jazz”, album atipico della band di Mercury, è vero, ma pur sempre una loro produzione. Bellamy ci ricasca nel voler emulare Freddie e soci, e il risultato è a dir poco fastidioso. Giunti alla traccia numero otto si è ancora in attesa della tanto decantata svolta orchestrale, di cui finora non s’è vista nemmeno l’ombra. Ci pensa il trittico conclusivo a portare “The Resistance” sui binari cui era stato incanalato dallo stesso Bellamy. La lunga suite strumentale Exogenesis chiude l’album e presenta i Muse come mai li si era sentiti: composizione lisergica, a tratti di pinkfloydiana memoria, a tratti radioheadiana, a tratti portisheadiana, a tratti filmica e chi più ne ha più ne metta. L’ascolto di “Exogenesis” è davvero piacevole, forse è quanto di meglio fatto dai Muse negli ultimi anni, ma… cosa c’entra tutto ciò nell’economia dell’album? Insomma, anche un lavoro positivo finisce per essere svalorizzato se non inserito nel contesto giusto. “The Resistance” non è un album brutto in sè, ma è tristemente scoordinato, rattoppato, messo in piedi alla bell’e meglio, troppo succube della strabordante vena compositiva di Matthew Bellamy. Caratteristica, quest’ultima, che un tempo era il punto di forza dell’intera band. Un tempo, per l’appunto.
(2009, Warner)
01 Uprising
02 Resistance
03 Undisclosed Desires
04 United States Of Eurasia (+ Collateral Damage)
05 Guiding Light
06 Unnatural Selection
07 MK Ultra
08 I Belong To You (+ Mon Coeur S’Ouvre A Ta Voix)
09 Exogenesis: Symphony Part I (Overture)
10 Exogenesis: Symphony Part II (Cross Pollination)
11 Exogenesis: Symphony Part III (Redemption)
A cura di Emanuele Brunetto