Vi ricordate “Chinese Democracy” dei Guns N’ Roses? Era diventato un disco barzelletta per chiunque masticasse un minimo di rock, tanti erano stati gli anni di ritardo della sua pubblicazione. Il molto meno ambizioso Lost Sirens rischiava di fare la stessa fine. Ricapitolando: i New Order pubblicano il loro ultimo album nel 2005 con tanto materiale rimasto inedito perchè scartato da un disco inizialmente concepito come doppio. La storia della band nata dalle ceneri dei Joy Division si interrompe però bruscamente nel 2007, quando le divergenze tra Peter Hook e il resto della band diventano ormai insanabili.
Nel 2011 arriva l’annuncio della reunion, senza Hook. Il barbuto bassista la prende malissimo e dichiara – testuali parole – di “voler fottere in tutti i modi possibili la carriera dei nuovi New Order”. Cosa che accade fino a un certo punto: la band riprende brillantemente l’attività live e riesce a pubblicare l’ormai famigerato “Lost Sirens”. Come detto prima, non si tratta di un lavoro composto recentemente dalla nuova line-up bensì dagli scarti del precedente album. I New Order raschiano dunque il fondo del barile. Il punto è che quel barile era pieno di ottima roba, dunque l’attesa era lecita. Fin qui tutto bene. Guardando la tracklist, però, iniziano le note dolenti: solo otto canzoni. Ovunque, nel mondo, lo standard minimo per un album di musica pop rock è di almeno nove brani.
C’è di più: di queste otto tracce solo sei sono realmente inedite, visto che l’ipnotica I Told You So era già presente nel precedente “Waiting For The Siren’s Call” (seppure in una versione meno convincente), mentre Hellbent figurava nella raccolta “Total”. Quest’ultima canzone in particolare faceva sperare bene: ascoltandola, viene da pensare che se tutte le 8 tracce sono come questo pezzone pop, chi se me frega della tracklist striminzita. Purtoppo non è così. Anche se il disco parte bene con I’ll Stay With You (pezzo simile a tanti altri dei New Order degli anni duemila, ma comunque dignitosissimo con la sua delicata melodia), a partire dalla seconda traccia sprofonda (per fortuna solo a tratti) in una mancanza di qualità sconcertante, visto che parliamo pur sempre di una pubblicazione a nome New Order.
La banalità imbarazzante di Sugarcane e le atmosfere chillout (ma stiamo scherzando?) di Recoil fanno quasi gridare allo scandalo e di certo non si salvano grazie alla voce pur sempre straordinaria di Sumner. Il britpop scolastico ed insipido di I’ve Got A Feeling non migliora di una virgola la situazione. Va invece meglio con la malinconica ballad Californian Grass e soprattutto con Shake It Up, ibrido musicale dove si intravedono sprazzi della genialità che fu. In 40 minuti l’album è già finito e – con cinque canzoni buone su otto – si rivela per quello che è: una chicca per fan incalliti come il sottoscritto. Ciò non toglie che sia anni luce superiore a tante porcherie “indipendenti” che si sentono in giro, ma se si vuole fare un viaggio nella musica dei New Order è bene partire dalla straordinaria compattezza rock di “Get Ready” (uno degli album più sottovalutati della scorsa decade) o dalla poesia del meravigliosamente oscuro ”Power,Corruption & Lies”. E’ bene partire da questi lidi e non certo da qui.
(2012, Rhino / Warner)
01 I’ll stay with you
02 Sugarcane
03 Recoil
04 Californian Grass
05 Hellbent
06 Shake It Up
07 I’ve Got A Feeling
08 I Told You So