Le uniche chiappe che, nel 2014, sono riuscite a fare concorrenza a quelle ultra cliccate-commentate-photoshoppate di Kim Kardashian appartengono senza alcun dubbio a Nicki Minaj. La rapper originaria di Trinidad e Tobago non c’ha mai pensato due volte a mettere in mostra i tratti salienti del proprio corpo, ma certo è che l’audacia del videoclip del singolo Anaconda non poteva lasciare indifferente nessuno, tanto nel bene quanto nel male. The Pinkprint, così, al momento dell’uscita s’è fatto forte di un hype assoluto e giustificato, anche perché alla sua terza prova in studio la Minaj avrebbe dovuto scegliere definitivamente da che parte stare, se ambire al trono di reginetta del pop o riacquistare la carica hip hop degli esordi. La scelta non è ricaduta su nessuna delle due opzioni in modo chiaro, ma più di qualcosa di buono è facile scovarla.
Mettendo a lato il già citato serpentone costrittore e – incredibilmente, dato che dovrebbero essere il punto forte – un bel po’ delle illustri collaborazioni contenute nel disco (su tutte Feeling Myself in coppia con Beyoncé, che non ha affatto la verve della hit), le altre tracce che compongono l’album fanno letteralmente a pugni con quell’immaginario trash che ci si aspetterebbe di ritrovare a iosa. Non che ci si trovi al cospetto di Celine Dion o Barbra Streisand, sia chiaro, ma è innegabile come la produzione di “The Pinkprint” sia davvero tanta ma mai estrema (o comunque sempre ben fatta), così come le lyrics non eccedano più di tanto in volgarità gratuite, al netto di qualche immancabile “licenza poetica” sparsa qua e là.
Il binomio iniziale composto da All Things Go e I Lied è in ciò abbastanza esplicativo, una delicatezza assoluta che investe la voce di Nicki e le basi su cui essa poggia, davvero mai sopra le righe, a dipingere il ritratto di una ragazza prima che di una pantera twerkatrice. The Crying Game è raffinatezza pop allo stato puro, dove anche gli inserti rappati s’incastonano alla perfezione. Only è la gemma hip hop del disco e non a caso Drake, Lil Wayne e Chris Brown sono della partita. Four Door Aventador è il pegno all’icona Lauryn Hill, con quelle sirene in sottofondo che sanno tanto ghetto. Favorite è r’n’b ricercato e maturo, mentre la conclusiva Grand Piano presenta addirittura degli archi nel finale, a sugellare il tutto.
Uniche pecche la dance di The Night Is Still Young (troppo vicina al precedente “Pink Friday: Roman Reloaded”), l’anonima e un po’ ripetitiva Bed Of Lies (col featuring di Skylar Grey) e la collaborazione con Ariana Grande in Get On Your Knees, che sembrano per un attimo poter rovinare il bel discorso fatto dalla Minaj in “The Pinkprint”.
Come si diceva all’inizio, ancora una volta Nicki Minaj non imbocca una strada precisa, resta a cavallo fra il pop da classifica e il trap più scuro, ma lima sensibilmente quegli eccessi stilistici che fin qui l’hanno tenuta rinchiusa in una gabbia dorata ma al tempo stesso molto, troppo trash. Se facesse meno affidamento sulle ospitate e si dedicasse finalmente ad approfondire la propria complessità artistica, potrebbe davvero puntare a qualcosa in più delle parodie sul web.
(2014, Cash Money / Republic / Young Money)
01 All Things Go
02 I Lied
03 The Crying Game
04 Get On Your Knees (feat. Ariana Grande)
05 Feeling Myself (feat. Beyoncé)
06 Only (feat. Drake, Lil Wayne & Chris Brown)
07 Want Some More
08 Four Door Aventador
09 Favorite (feat. Jeremih)
10 Buy A Heart (feat. Meek Mill)
11 Trini Dem Girls (feat. Lunchmoney Lewis)
12 Anaconda
13 The Night Is Still Young
14 Pills N Potion
15 Bed Of Lies (feat. Skylar Grey)
16 Grand Piano
IN BREVE: 3/5