Bisogna far sempre i conti con gli Oneida e con la loro persistente smania di cambiar pelle disco dopo disco. Ma la cosa che più rende questo gruppo particolare e per certi versi anche formidabile è la loro altrettanto persistente tangenza con la matrice originaria, non avendo perso i tratti somatici del caotico ambiente musicale che li ha generati, la New York in mano a Liars e Black Dice. I quattro di Brooklyn, imbeccata con “The Wedding” del 2005 l’autostrada dello smantellamento estetico/stilistico fino a quel momento espresso, plasmano le forme a loro piacimento senza però lanciarsi in mutevoli acrobazie, fregandosene dell’anticonvenzionalità di un lavoro difficile da assimilare per chi non è avvezzo a certi modi d’intendere il rock, lasciando che le impronte psichedeliche lascino più profonde e radicate vestigi sul tessuto. Gli Oneida di oggi sono una band che suona kraut-rock al 100%. Ce lo dicono la ridondanza delle strutture, i meccanici andamenti ritmici – spesso frammentati e zoppicanti, i fraseggi accennati e molecolari, la fluidità di melodie ogni tanto inintelligibili e sempre reiterate fino allo spasimo. Suddiviso in tre parti, Preteen Weaponry funge da suite unitaria che si distende con fare macchinoso come saprebbero ben architettare i Tortoise, pesanti ascendenti nel primo capitolo del disco. I Neu e i Can sono sempre dietro l’angolo, così come la San Francisco psichedelica dei Grateful Dead, pare così che per gli Oneida il flusso temporale vada a ritroso anziché star sulla scia di un più comune vettore che conduce avanti. Con la seconda parte ci si addentra in quasi mistici territori con uno sciamanico rituale percussivo sorretto, più avanti, da una voce che ammicca a modulazioni orientali e, perché no, anche a certi Pink Floyd (quelli di “Set The Control For The Heart Of The Sun”), per poi proiettarsi nel firmamento con la benedizione degli Hawkwind. Questi ultimi battezzano nel fuoco il terzo ed ultimo tomo di “Preteen Weaponry”, tra fasci di luce che si intersecano come laser per poi sprigionare una fluttuante nebbia dai cerchi concentrici. Ostinato ed ostico, il quinto albo degli Oneida rivela a lungo andare una monotonia di fondo che è nel contempo sua croce e delizia, a tratti rigido come una lastra di cemento, meccanico e per certi versi anche algido, riesce comunque a far intendere bene cosa siano intenzionati a diventare i nostri. Un qualcosa che può assestare un colpo di coda da un momento all’altro ma che ancora deve trovare la sua perfetta ed ottimale fisionomia.
(2008, Jagjaguwar)
01 Preteen Weaponry Part 1
02 Preteen Weaponry Part 2
03 Preteen Weaponry Part 3
A cura di Marco Giarratana