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Ozzy Osbourne – Ordinary Man

Sarebbe facile, piacevole, forse anche dignitoso andarci piano col vecchio Ozzy, uno che per i suoi fan si è dato incondizionatamente per tutta la sua carriera, quali che fossero i problemi personali, familiari o persino con le proprie band. E ne ha avuti di problemi, cazzo se ne ha avuti. L’ultimo, il più serio, è la diagnosi di morbo di Parkinson, rivelata a Gennaio e che lo ha costretto (suo malgrado, perché lontano dal suo amato pubblico Ozz non è mai riuscito a starci) a cancellare il tour americano del 2020; ma c’è stata la polmonite un anno prima, prima ancora una ricaduta nei vecchi vizi di un tempo che gli stava costando il matrimonio e prima ancora…

Però non è come un tempo: un tempo non ci preoccupavamo di Ozzy: lui, come Lemmy o Keith Richards, è sempre sembrato immune al tragico destino della rockstar dedita all’abuso ed era irrilevante quanto vicino ci potesse andare. Altro che “Club 27”, qua si punta all’immortalità. Ma nessuno, nemmeno Ozzy, è immortale e quindi adesso, col Parkison, il Parkin (morbo di origine genetica che fu diagnosticato a Ozzy nel 2005), gli abusi passati e i settantuno anni suonati, si fanno i conti con la realtà.

Sarebbe facile, piacevole e dignitoso, certo. Ma non sarebbe onesto e Ozzy con noi è sempre stato onesto. “Uno straordinario ritorno dopo dieci anni di assenza!”, non costerebbe nulla. Ma non sarebbe onesto. Esaltarsi per il suo “All right now!”, chiaro riferimento a “Sweet Leaf” dei Sabbath nell’apripista Straight To Hell, che vede Slash unirsi per un’ospitata all’eccellente cricca messa su per questo Ordinary Man, con Chad Smith alle pelli, Duff McKagan al basso e Andrew Watt a produrre e alla chitarra; beh, perché no, non v’è vergogna nella nostalgia. Ma, a differenza del ritorno dei Sabbath, che le pennellate di velata nostalgia le inseriva in un quadro compiuto e di assoluto valore, qui le pennellate nostalgiche non sono altrettanto riuscite.

Sonoramente uniforme alle due ultime uscite osbourniane (“Scream” del 2010 e “Black Rain” del 2007), “Ordinary Man” addrizza però la mira verso la radiofonicità grazie anche a una perfetta esecuzione – non è mai mancato a Ozzy, infatti, scegliere band compatte e musicalmente eccellenti. Come da tradizione, al metal vengono affiancate diverse ballad, una delle quali è stata scelta come singolo trainante dell’album, quella title track che, con l’ospitata di un imbolsitissimo Elton John, arranca malamente e neanche un tentativo di raggiungere un pubblico diverso funziona: i due pezzi nei quali appare Post Malone (It’s A Raid e Take What You Want, la seconda delle quali vede ospite anche Travis Scott) sono tutt’altro che esaltanti.

La scrittura non è affidata, come di consueto, al solo Osbourne e alla sua band, viene in aiuto anche Alexandra Tamposi, autrice, tra gli altri, di pezzi per Rita Ora, Nickelback, Camila Cabello, Selena Gomez, One Direction e gente simile. Nonostante il curriculum che potrebbe far pensare il peggio, è uno dei pezzi dove compare a essere il migliore del lotto (la power ballad Under The Graveyard, beatlesiana il giusto e singolo che ha anticipato l’album lo scorso Novembre) e in ogni caso il materiale non è tutto da buttare, soprattutto quando rallenta (Holy For Tonight).

Sarebbe stato bello, emozionante, gioioso poter parlare bene di “Ordinary Man”. Ma ci accontentiamo di poter evitare di parlarne male; mancano i grandissimi pezzi, quelli che illuminavano anche le prove meno riuscite (in “Ozzmosis” c’era ad esempio “Perry Mason”), ma il livello medio non scende mai troppo in basso. Speriamo solamente che ci sarà in futuro ancora occasione di parlare di un altro album solista di Ozzy, di un altro ancora e di un altro ancora. All right now!

(2020, Epic)

01 Straight To Hell
02 All My Life
03 Goodbye
04 Ordinary Man (feat. Elton John)
05 Under The Graveyard
06 Eat Me
07 Today Is The End
08 Scary Little Green Men
09 Holy For Tonight
10 It’s A Raid (feat. Post Malone)
11 Take What You Want (feat. Post Malone & Travis Scott)

IN BREVE: 3/5

Nicola Corsaro
Reverendo Dudeista, collezionista ossessivo compulsivo, avvocato fallito, musicista fallito. Ha vissuto cento vite, nessuna delle quali interessante. Scrive per Il Cibicida da un numero imprecisato di anni che sarebbe precisato se solo sapesse contare.