I Pallbearer sono un’eccellenza nel panorama metallico attuale. Esulando questioni di genere è innegabile quanto i quattro di Little Rock siano divenuti, grazie a lavori di pregio universalmente riconosciuti come tali, portavoce inconsapevoli della scena doom underground sin dal primo, stupendo, “Sorrow And Extinction” (2012). Sarà il sound facilmente distinguibile, saranno le composizioni grandiose ma al contempo accessibili, sta di fatto che il concetto musicale dei Pallbearer si è talmente evoluto negli ultimi anni da far pressoché scuola a sé stante; come fu qualche decennio addietro per i ‘Sabbath e i Candlemass e com’è ora per quella ristretta élite di cui fan parte, tra alti e bassi, altre fortunate compagini quali Spirit Adrift, Elder e Khemmis.
Il precedente “Heartless” (2017) è stato un disco incredibile. Meno immediato di quanto ci si aspettasse, ha dimostrato nel tempo una longevità spiazzante anche grazie all’inserimento di elementi prog che ne hanno posizionato il sound su un altro livello. Ma come accaduto per svariate altre realtà di cui si abbia memoria, lo scomodare il complesso mondo progressivo crea aspettative sempre più elevate e ardue da soddisfare. Riusciranno i Pallbearer a mantenere questo straordinario livello qualitativo? È possibile migliorare un sound che pare abbia già raggiunto il suo apice? Come si presenterà Forgotten Days?
Bastano poche note della title track per spazzare via ogni dubbio oltre a indirizzare il lavoro verso una precisa rotta sonora. Forgotten Days è una traccia così diretta e schietta nella sua semplicità da mettere subito l’ascoltatore a proprio agio. Il riffing è avvolgente e circolare, il chorus melodico ma non banale. La scorrevolezza inoltre ne fa la prima vera “hit” della band dell’Arkansas. C’è un profumo vintage in questa opener, e la produzione volutamente ’70s ne amplifica il sentore classico. Mano a mano che si procede nell’ascolto del disco la sensazione iniziale si fa più concreta e tangibile, Riverbed e Stasis, pur non essendo pezzi memorabili né dal punto di vista tecnico né da quello del songwriting, scivolano con una facilità disarmante come se fossero la più semplice rappresentazione di un suono completamente in controllo dei suoi interpreti.
Con Silver Wings si entra in un’altra dimensione. Ormai escluso ogni possibile ammodernamento del sound, i Pallbearer si concentrano su sensazioni arcaiche e oscure, dilatano e rallentano le ritmiche fino ad abbracciare il confine col funeral doom, sprigionando tutto il potenziale di un disco che ora rende chiaro il proprio messaggio: non è il momento di evolvere, non c’è l’intenzione di mutare verso l’ignoto quanto più la necessità di fare un passo indietro e godere appieno della pura essenza del doom metal. Per questa ragione sia The Quicksand Of Existing che Vengeance & Ruination non cambiano le carte in tavola ma confermano al meglio lo spirito viscerale del platter, una forma più terranea e concreta ma non per questo meno intrigante, che lascia solamente alla conclusiva Caledonia (unica traccia chiaramente fuori contesto) la possibilità di vagare verso atmosfere più oniriche per quella che è ormai una caratteristica chiusura degli album Pallbearer.
Ho provato a cercare evidenti difetti in “Forgotten Days”. Ho addirittura tentato, per qualche ascolto, di rifiutare un disco così statico e volto al passato. Non ci sono riuscito. I Pallbearer sono una garanzia, probabilmente la miglior band in assoluto nel suo genere e lo dimostrano con un lavoro che è tutto fuorché avanguardistico. Ed è proprio quando puoi permetterti di fare ciò che vuoi, anche uscire con un LP che non restituisce realmente nulla di nuovo, che forse hai davvero raggiunto la vetta.
(2020, Nuclear Blast)
01 Forgotten Days
02 Riverbed
03 Stasis
04 Silver Wings
05 The Quicksand Of Existing
06 Vengeance & Ruination
07 Rite Of Passage
08 Caledonia
IN BREVE: 4/5