Il terzo album è, per qualsiasi band, un momento fondamentale della carriera. Esaurita la spinta iniziale, in cui è la freschezza delle idee a dettare ritmi e fortune, è con la terza uscita discografica che generalmente vi è la possibilità di comprendere se una formazione abbia le caratteristiche per costruire una carriera solida e duratura.
I Pallbearer giungono al terzo LP dopo aver ricevuto, con le loro prime due uscite, svariati consensi un po’ in tutto il panorama metallico e non solo. “Sorrow And Extinction”, solido disco doom metal di impostazione quasi funeral, presenta spunti di originalità principalmente nelle sensazioni che riesce ad evocare, introducendo quasi a sorpresa atmosfere ariose e luminose che poi saranno riproposte e rielaborate, in ottica decisamente più matura, nel successivo “Foundations Of Burden”. Il secondo lavoro, quasi un unicum nel panorama attuale, è composizione di rara bellezza in cui le melodie prendono chiaramente possesso del suono dei Pallbearer, elevando il combo dell’Arkansas dallo stagno della standardizzazione; anche sfruttando un elemento così poco comune come la luce, in un genere musicale di nicchia che ha fatto dei propri elementi distintivi netti la propria fortuna nei decenni.
Il freschissimo Heartless prosegue il percorso di maturazione dei Pallbearer evolvendo il suono verso lidi decisamente particolari e raramente esplorati in questo ambito. Di fondo si tratta pur sempre di doom metal, ma il complesso di vocals sabbathiane, di riffing lento e cadenzato e di atmosfere evocative introduce elementi catchy e (vagamente) progressivi, aumentando ancora di più la componente melodica e a suo modo sperimentale rispetto al passato. È un disco pesantemente chitarristico, che non tradisce il fondamento sonoro della band, con la sezione ritmica a far da mero accompagnamento e con le vocals di Campbell a stupire maggiormente: mai banali, profonde e ben modulate, ma anche capaci di alzare i toni fino al falsetto come in Lie Of Survival.
Le tracce si susseguono con inaspettata accessibilità: l’opener I Saw The End è accattivante e dal profumo prog, la successiva Thorns per quanto grave e robusta presenta comunque un intramezzo arpeggiato di respiro che apre un crescendo tipico degli Opeth di dischi come “Orchid” e “Morningrise”. Dancing In Madness e Cruel Road, per chi scrive i pezzi forti dell’album, sono anche quelli più debitori dell’esperienza pregressa dei Pallbearer, soprattutto a livello atmosferico. Nonostante ciò, introducono particolarità di rilievo che completano quasi definitivamente il “nuovo” sound della band, come alcuni riffs e cori di matrice Mastodon.
“Heartless” è un incedere sonoro del tutto peculiare, è un pachiderma che tenta di muoversi con inaspettata agilità ma che non riesce alla perfezione nel suo intento, inciampando saltuariamente nella sua stessa foga di porre le basi per il futuro del doom metal. Gli svariati elementi che caratterizzano i 60 minuti del lavoro a tratti non mixano tra loro come dovrebbero, lasciando l’ascoltatore più attento ad apprezzare enormemente la qualità elevata delle singole componenti, senza conseguire appieno l’obiettivo di definire un percorso omogeneo. Emblematica è la closer A Plea For Understanding, brano complicato all’ascolto, lento e imponente, tenuto in piedi dalle sue linee vocali e da una imponenza di estrazione più post rock/metal che doom, ulteriore e abbastanza decisa spaccatura nei confronti della omogeneità musicale.
In definitiva, “Heartless” è un lavoro complesso e dalla curva di approvazione esponenzialmente infinita; fin troppo ricco per essere compreso appieno con celerità, fin troppo giovane per stabilire da subito quanto potrà essere fondamentale per l’evoluzione del genere. Con certezza è già pietra miliare della breve, seppur intensa, carriera dei Pallbearer.
(2017, Nuclear Blast / Profound Lore)
01 I Saw The End
02 Thorns
03 Lie Of Survival
04 Dancing In Madness
05 Cruel Road
06 Heartless
07 A Plea For Understanding
IN BREVE: 4/5