A volte sembra che il caos e la fantasia convergano e si fondano per dare vita a una follia sensata. A volte questa alchimia si produce anche in campo musicale e il secondo album dei Palm, Rock Island, ne sembra essere la prova. La band di Philadelphia ha creato un album ricco di spensieratezza, le cui chiavi di volta sembrano essere la voce di Eve Alpert e i loop catatonici e infiniti della steel drum, che si ripetono in tutti i brani creando un’atmosfera caraibica ma, allo stesso tempo, lisergica e paranoica.
Il mix è una musica sorprendente e imprevedibile a cui si aggiunge un pensato delirio di strumenti che intervengono in controtempo (come ad esempio in Forced Hand, in cui dei riff di chitarra fanno da accompagnamento apparentemente slegato alla traccia principale), di pause, di riprese, di scambi con una chiassosa batteria che sembra opporsi alla leggerezza del tema (vedi nel finale di Dog Milk).
“Rock Island” sembra frutto di un situazionismo casuale, di un’improvvisazione continua (è un manifesto programmatico già la traccia di apertura, nonché singolo, Pearly), ma la velocità e l’innovazione si perdono nella ripetitività. In un sound che sembra esaurirsi presto, le cui possibilità paiono essere tutt’altro che infinite.
Se la costante del tema può essere intesa come il fil rouge del concept album, c’è anche da sottolineare che la sua pervasività e presenza risulta presto eccessiva e troppo invadente per poter passare in secondo piano e far emergere il resto che la band ha da offrire.
In definitiva, “Rock Island” è la prova forse troppo acerba, ma promettente, di un gruppo che ha solo bisogno di esplorare le proprie possibilità e integrarle con le novità e l’approccio musicale che dimostrano di essere in grado di apportare già da questo album fresco di uscita.
(2018, Carpark)
01 Pearly
02 Composite
03 Dog Milk
04 Forced Hand
05 Theme From Rock Island
06 Bread
07 Color Code
08 Swimmer
09 Heavy Lifting
10 20664
11 (Didn’t Want You What) Happen
IN BREVE: 2,5/5