Disquisire su mostri sacri della storia della musica, cercando di valutare con una sufficiente dose di obbiettività il materiale che di tanto in tanto tirano fuori, non è impresa di poco conto. Bisogna trovare le parole adatte per non macchiarsi di lesa maestà. In questo 2013 ciò è valso per David Bowie, per i Black Sabbath, per i My Bloody Valentine o più di recente per i Pearl Jam, ma è un discorso che in generale può essere esteso a ogni momento di ogni anno discografico.
Figuriamoci, dunque, se il nome in questione è quello di Paul McCartney, un baronetto, un Beatles, uno di quei quattro che hanno un po’ il merito di aver dato il simbolico via a questo ambaradan che oggi chiamiamo musica pop. Come avrete intuito, questo preambolo non è altro che un modo – crediamo sufficientemente soft – per arrivare a dire che New, il nuovo album di Sir Paul, non convince neanche un pochino.
A cominciare dal titolo stesso, passando dalla copertina del disco (con quei neon allucinanti davvero ma davvero kitsch) e arrivando poi – com’è ovvio che sia – al contenuto dell’album, ciò che salta subito all’attenzione è il tentativo malriuscito di McCartney e della sua schiera di produttori (sì, perché quando riscuoti le royalties dei Beatles puoi permetterti di non badare a spese) di dare una sferzata di novità ad una formula che non siamo sicuri ne avesse poi questo gran bisogno.
L’album parte arrembante con Save Us, ma è un fuoco di paglia: già la seguente Alligator suona come suonerebbero i Beatles se fossero giunti al cinquantesimo lavoro in studio. Le venature psichedeliche di Queenie Eye e quelle ballate standard che più standard non si può che sono On My Way To Work ed Early Days, vanno a formare insieme alla title track e singolo di lancio una prima metà di album che è più una traversata su una locomotiva a vapore che un futuristico viaggio in astronave. Nonostante l’utilizzo in studio di qualche gingillo tecnologico che vorrebbe camuffare il tutto.
Per Appreciate il team al servizio di Macca tira fuori un bel po’ d’inserti elettronici (presenti anche in Looking At Her) e una base a tratti hip hop, mentre l’orientaleggiante Hosanna fa tornare alla mente quell’ormai mitologico viaggio in India dei Fab Four. Everybody Out There ed I Can Bet sono un modesto rock strappa-cori e solo la conclusiva Road dà davvero l’impressione di tentare qualcosa di genuinamente nuovo. Perché nella forma e nella sostanza, invece, “New” non è altro che un lungo ripercorrere ciò che è stato, spacciato per un’attualizzazione che passa più per il lavoro dei produttori che per gli spunti di base.
E allora se è di “novità” che ha sete McCartney, che continui a cercarle nelle collaborazioni cui ha prestato il nome negli ultimi tempi (vedi alla voce Bloody Beetroots) o nelle pur sempre emozionanti esibizioni dal vivo che a 71 anni suonati lo vedono ancora indomito protagonista. Per un lavoro in studio, per degli inediti, è necessaria una verve diversa, idee diverse e stimoli diversi, attributi che – al contrario dell’evidente e ammirevole voglia di fare ancora musica – sembrano mancare al McCartney di “New”.
(2013, Universal / Concord)
01 Save Us
02 Alligator
03 On My Way To Work
04 Queenie Eye
05 Early Days
06 New
07 Appreciate
08 Everybody Out There
09 Hosanna
10 I Can Bet
11 Looking At Her
12 Road