A Seattle la pioggia è continua. Non smette mai. Pizzica come migliaia di scorpioni volanti e mette di cattivo umore se non ci si fa il callo. Proprio come George W. e il capannello dei suoi “Bushleaguer”: un prurito per molti americani e un incubo per i Pearl Jam fino all’elezione di Obama. Eddie Vedder e soci hanno dedicato a questa fetta di storia americana quasi dieci anni di carriera, muovendosi di umori neri, lividi, portando in mano la protesta come una saetta. Tradendo forse anche un certo loro antico spirito, sì combattivo, ma sempre al di sopra delle parti, da romanzieri del misfatto, malati di poesia. Ora il “thief” (citando Thom Yorke) non c’è più. Ora Springsteen canta di sogni e speranze. Ora l’America pare rialzarsi anche dalla crisi finanziaria che l’ha messa in ginocchio. E allora anche i Pearl Jam si scrollano di dosso pioggia e un peso fastidiosissimo: dover “usare” la musica per protestare, quando questa invece dovrebbe essere forno di sentimenti, dolore, passione con la politica relegata in panchina. Backspacer, settembre 2009, è questo. E’ la rivincita dei Pearl Jam sul tempo speso a urlare, è la riscoperta della musica come cantuccio di emozioni. E’ suonare veloci, poi melodiosi, riaccelerare, divertirsi, gracchiare una risata e concedersi anche dei languori. Lo stesso titolo è un omaggio di Eddie al piacere della scrittura creativa, con il “backspacer” che era uno dei tasti delle vecchie macchine da scrivere. I Pearl Jam con il nuovo disco, dunque, suonano distesi e recuperano il gusto di fare musica di nuovo “grunge”, passionale. Sono veloci, velocissimi (37 minuti in tutto), sono coinvolti e spaccano la tracklist in due parti: da un lato il rock rapido, giocherellone e pop della punkeggiante Gonna See My Friend, del singolo di lancio The Fixer e di Got Some e Johnny Guitar. Dall’altro brani più lavorati e compatti oltre a pezzi che, si sente, sembrano venir fuori dalle session vedderiane di “Into The Wild”. Just Breathe ad esempio, che si srotola della chitarra di Eddie, della sua voce, e di archi struggenti. “Non voglio soffrire – canta Vedder – c’è così tanto in questo mondo da farmi credere”. Ma anche Unthought Known con un incedere appassionante: “Senti il dolore di ogni giorno, che strada hai preso? Respirando forte, facendo il fieno, si, questo è il vivere”. Della seconda parte superano “la prova del nuovo” anche Amongst The Waves e Speed Of Sound che mostrano Gossard, Ament e gli altri alle prese anche con pianoforti e con una gestione sonora sempre molto consapevole. Sì certo, album come “Ten” o “Vitalogy” profumano di capolavoro nella loro interezza, e non è il caso di “Backspacer”. Ma ci sono anche album, come questo, che sfoggiano canzoni tanto efficaci da sfuggire alla prigionia di una tracklist. The End che chiude “Backspacer” è una di queste. Violini, arpeggio di acustica, apertura vocale di Ed e una frase: “Dammi qualcosa che echeggi nel mio futuro incerto, lo sai, mia cara, la fine, è vicina. Sono qui, ma ancora non per molto”. La musica si interrompe bruscamente, la fine del disco è arrivata e con lei anche un brutto presentimento…
Nota 1: A undici anni da “Yield” i Pearl Jam ritornano a collaborare con Brendan O’Brien.
Nota 2: La copertina di “Backspacer” è affidata al fumettista Tom Tomorrow. Nelle scorse settimane alcune immagini di copertina sono state “nascoste” da Tomorrow sul web. Chi riuscirà nell’impresa di scovarle tutte potrà scaricare una versione demo di “Speed Of Sound” tramite il sito ufficiale dei Pearl Jam.
Nota 3: Eddie Vedder vedendo che il tasto “backspacer” veniva venduto come oggetto vintage e come bigiotteria ha detto: “Per me è come la zuppa di pinne di squalo: uccidi macchine da scrivere per ricavarne braccialetti!”.
(2009, Monkeywrench / Universal)
01 Gonna See My Friend
02 Got Some
03 The Fixer
04 Johnny Guitar
05 Just Breathe
06 Amongst The Waves
07 Unthought Known
08 Supersonic
09 Speed Of Sound
10 Force Of Nature
11 The End
A cura di Riccardo Marra