Che Pete abbia messo la testa a posto, fatichiamo a crederci. Anzi, non ci crediamo e basta. Perché Doherty è casinista di natura, ma soprattutto “di contratto”. Lui “deve” cacciarsi nei guai, “deve” creare baraonde con Kate Moss (la splendida – ex? – fidanzata top model), è “obbligato” a fare trapelare indiscrezioni sulla sua dipendenza da crack, sui suoi tentativi di suicidio, sulle finte nozze celebrate in Thailandia, sulle tresche assieme a fan occasionali. Fa parte del suo personaggio e forse della sua fortuna. Non ci sarebbe Doherty senza gossip, più o meno come senza cappellino e look alla Charles Baudelaire. E di queste sue maniere dandy-autodistruttive, negli anni, ne hanno fatto le spese soprattutto le sue band, i Libertines ed i Babyshambles che, per forza di cose, sono state sacrificate a ruolo di mero riempitivo tra una news (nera o rosa) e l’altra. Dunque fa specie, molto specie, invece, il tepore contenuto nelle canzoni di Grace/Wastelands, il suo esordio solista. Pete, anzi Peter come “seriamente” riporta la copertina, si produce in dodici pezzi densi, suonati con stomaco e voglia. Un disco che, ne siamo certi, non piacerà per nulla alle teenager inglesi che lo amano per i suoi modi da sbruffone sciupafemmine, ma che stuzzicherà la fantasia di chi è amante della buona musica folk. Perché è dalla matrice folk che Doherty parte per suonare i suoi ululati decadenti, è da una sola chitarra acustica scheletrica, poi “rivestita” da qualche pennellata musicale, che trovano luce i brani. Come se Pete abbia voluto omaggiare in un colpo solo gente come Lennon (Arcadie), Morrissey (Salome) e Barrett (I am the rain), forse nel tentativo di redimersi da qualche stramberia di troppo. Forse come una specie di preghiera pagana alla dea musica, qualche volta di troppo spernacchiata dai suoi eccessi. O forse questo (nuovo?) mood è solo figlio del raggiungimento dei trent’anni – compiuti in settimana – che lo hanno costretto ad una riflessione sul suo lavoro e le sue potenzialità. Ma non ci pensiamo troppo e approfittiamo del momento, tutto potrebbe svanire da un momento all’altro. Il country di Palace of bone, la ballata sinuosa Sheepskin Tearaway ed il “brit pop” di Last of the English Roses (che è anche il singolo di lancio dell’intero lavoro) paiono davvero la “pausa sigaretta” tra una sceneggiata ed un’altra. E allora sarà solo un momento di “grazia”, questi pezzi suoneranno solo come un pugno di canzoni da “terra desolata”, ma è quanto di meglio il musicista di Hexham abbia prodotto da un po’ di tempo a questa parte. Approfittiamone.
Nota: All’interno dei pezzi si registrano i contributi di Graham Coxon, Dot Allison, Peter Wolfe (aka Wolfman) e dei membri dei Babyshambles.
(2009, Emi)
01 Arcadie
02 Last of the English Roses
03 1939 returning
04 A little death around the eyes
05 Salome
06 I am the rain
07 Sweet by and by
08 Palace of bone
09 Sheepskin tearaway
10 Broken love song
11 New love grows on trees
12 Lady, don’t fall backwards
A cura di Riccardo Marra