Gli Antlers sono una band che, finora, ha probabilmente raccolto molto meno di quanto avrebbe meritato, non fosse altro che per quel piccolo gioiello licenziato nel 2009 e rispondente al nome di “Hospice”. La loro forza è sempre stata nelle melodie, ricercate, suadenti, oltre che nella voce del frontman Peter Silberman, perfetta per interpretare gli stati d’animo dimessi della sua creatura.
L’ultimo lavoro degli Antlers è “Familiars” del 2014, dopo il quale Silberman ha dovuto affrontare una lunga riabilitazione per riacquistare l’udito perso da un orecchio, un inconveniente che avrebbe abbattuto chiunque, figuriamoci un musicista. C’ha messo un po’ a ristabilirsi, ma adesso è tornato con un esordio solista che si confà perfettamente ai suoi canoni compositivi, forse ancor più di quanto mostrato con la band: Silberman prende tutte le sensazioni provate nel difficile periodo vissuto e le mette per intero a disposizione di Impermanence (aspetto della dottrina buddhista che si riferisce per l’appunto al cambiamento, all’inevitabile evoluzione delle cose), un disco imperniato su voce accompagnata quasi esclusivamente da qualche corda elettrica pizzicata.
Il punto di contatto con gli Antlers sta nel substrato emozionale, ma è nella forma che tutto cambia: quello di “Impermanence” è un Silberman che non accelera mai i ritmi, che s’accartoccia su se stesso fin quasi a scomparire per poi rialzarsi più forte di prima. C’è tanto del Jeff Buckley più riflessivo (su tutte l’iniziale Karuna e la seguente New York), specie nell’alternarsi tra falsetti e bassi all’interno dello stesso brano o nei vibrati, ma c’è in generale uno spirito cantautorale che non sfigurerebbe anche in una dimensione acustica (che compare per pochissimo, ad esempio, nel finale di Maya).
Le prove generali fatte lo scorso anno con l’EP strumentale “Transcendless Summer” hanno dato i loro frutti (la title track ne riprende la scia), “Impermanence” gioca di dilatazioni sonore e vocali e su pochi elementi pone le fondamenta di una torre solidissima, così che le “bolle” che spuntano al sesto minuto di Gone Beyond o le percussioni appena accennate di Ahimsa siano solo complementi di un arredo a dir poco minimale. Se è vero che ogni cambiamento, ogni singolo evento anche negativo della vita, nasconde sempre un lato positivo, Silberman ha dimostrato di aver saputo abilmente cercarlo e trovarlo.
(2017, Transgressive / Anti-)
01 Karuna
02 New York
03 Gone Beyond
04 Maya
05 Ahimsa
06 Impermanence
IN BREVE: 4/5