C’è una domanda cui ultimamente ci riproponiamo di voler dare risposta: quand’è che i Phoenix sono diventati una band talmente importante da meritarsi il ruolo di headliner in una kermesse mastodontica come il Coachella? No, perché a noi quel momento – se c’è stato – dev’esserci clamorosamente sfuggito. Due più due, salvo sorprese, dovrebbe fare ancora quattro e qui i conti non tornano affatto, considerato anche che l’hype dietro questo Bankrupt! ha raggiunto nei mesi antecedenti la sua uscita livelli talmente spropositati da farlo apparire quasi come il Messia della discografia del 2013.
Un’attesa spasmodica creata ad arte dal management dei francesi (e ci sta tutto, è il loro sporco lavoro vendere aria fritta anche laddove manca il pollo) ma, a dirla tutta, avvalorata anche da una parte di pubblico. Ci sta anche che, dopo un album commercialmente più che positivo come “Wolfgang Amadeus Phoenix” (2009), la fan base della band sia cresciuta e non di poco, ma… porca miseria, quello è il Coachella! A questo mistero probabilmente non daremo mai soluzione, ma di certo possiamo fermarci a parlare di “Bankrupt!” e lo facciamo anche con un certo sadismo, lo ammettiamo. Perché ciò che la formazione di base a Versailles propone con questo proprio quinto lavoro in studio è, senza mezzi termini, robetta di poco conto.
Il successo dei primi quattro dischi dei Phoenix – o quantomeno di un bel po’ di tracce in essi contenute – era essenzialmente legato alla commistione di un’innata vena pop con un oculato utilizzo dei synth e in generale degli inserti elettronici, il tutto filtrato attraverso quei natali francesi che, volenti o nolenti, si percepiscono e fanno la differenza in quanto a “diversità” della proposta rispetto al mondo anglosassone. “Bankrupt!” di tutto ciò non ne tiene clamorosamente conto: l’aspetto melodico viene messo a dir poco in secondo piano, Thomas Mars e gli altri si perdono in sperimentalismi che non gli appartengono (vedi la title track, sette minuti di una sorta di psych-elettronica davvero poco convincente), forzando la mano con strati e strati e strati e ancora strati di tastiere che finiscono per infastidire (su tutte citiamo Don’t).
L’effetto è lo stesso che può provocare una donna bellissima truccata in modo troppo pesante e volgare. Il singolo Entertainment, che apre l’album, è forse il brano meno “corrotto” dalle esagerazioni dei Phoenix targati 2013, il che ci rassicura quantomeno sul fatto che sappiano ancora sceglierseli a dovere. Ma è davvero troppo poco per soprassedere su un lavoro eccessivo sotto ogni punto di vista (anche nella banalità delle lyrics) che stimola un’unica considerazione: il successo a volte dà alla testa.
(2013, Glassnote / V2)
01 Entertainment
02 The Real Thing
03 S.O.S. in Bel Air
04 Trying To Be Cool
05 Bankrupt!
06 Drakkar Noir
07 Chloroform
08 Don’t
09 Bourgeois
10 Oblique City