La dimensione band è sempre stata nelle corde di Polly Jean. Ha cominciato la sua storia in una band e, nel corso degli anni, è sempre stata affiancata da un mucchio di musicisti ed amici che hanno contribuito a rendere corposo il sound dei suoi album. Ora, sarà perchè in questo 2009 faranno capolino anche per lei i fatidici “quaranta”, ma a quanto pare le prospettive che si profilano per l’artista britannica sono ben diverse rispetto al passato più e meno recente. Perchè il sentiero imboccato da PJ Harvey è assolutamente quello di un maturo cantautorato. Ma chiariamo subito almeno un paio di aspetti. Innanzitutto, già col precedente “White Chalk” (2007) il sentore che qualcosa stesse mutando c’era stato: minore ridondanza rispetto agli episodi trascorsi (comunque mai eccessivi), un più parsimonioso uso degli strumenti ed una PJ affidata quasi esclusivamente a chitarra e pianoforte. In secondo luogo, questo A Woman A Man Walked By è, sì, un album a firma PJ Harvey, ma c’è un altro nome che fa la propria prepotente comparsa in copertina, ovvero quello di John Parish. Sì, proprio lui, l’uomo che insieme alla stessa PJ aveva dato vita nel ’96 a “Dance Hall At Louse Point”, che l’anno prima aveva prodotto “To Bring You My Love” e che ha avuto modo di “assistere” la Harvey in tanti altri episodi della sua carriera. Solo che, stavolta, c’è una sigla chiara ed evidente, e qualcosa vorrà pur dire. Vuol dire che Parish ci mette più della mera esecuzione delle parti strumentali, peraltro affidategli interamente. Questo è un album che trasuda whisky da tutti i pori, è un album mascolino per concezione (e qui c’è John) e sensuale per interpretazione (ed ecco Polly Jean). Un connubio che presenta “A Woman A Man Walked By” come un lavoro incredibilmente scuro e cavernoso per certi versi quanto delicato per altri, rendendo giustizia ad un titolo che già di suo rende alla perfezione l’essenza dell’album. Un’essenza che non poteva essere spiegata meglio che con la contemporanea presenza delle parole “uomo” e “donna”. Gli arrangiamenti di gran parte dei brani sono ridotti all’osso (vedi Sixteen, Fifteen, Fourteen, Leaving California, April, The Soldier, Passionless, Pointless), fatti di arpeggi chitarristici conditi qua e là da qualche tocco di armonica, un accenno di piano o soffice effettistica elettronica. E quando l’incedere sonoro prende piede è invece l’atmosfera creata dalla voce di Polly Jean ad abbassare il ritmo (il singolo Black Hearted Love, The Chair). C’è anche spazio per un’aggressività repressa che viene fuori nella title-track e soprattutto nella sua coda strumentale, così come in Pig Will Not, in cui PJ urla a squarciagola, “abbaia”, si dispera. Il tutto a contrapporsi con la traccia conclusiva, Cracks In The Canvas, nenia sepolcrale in cui il cantato/parlato della Harvey ricorda da vicino quello di Ruth Rosenthal nei suoi Winter Family. Ed anche questo, c’è da scommetterci, è opera dell’ingegno di John Parish. Ah, certo, poi c’è anche Flood dietro ai fornelli di “A Woman A Man Walked By”, altro apporto di non poco conto che chiarifica ancor di più il perchè quest’album sia un lavoro riuscitissimo. Magari verremo clamorosamente smentiti già col prossimo capitolo della sua discografia, in cui PJ potrebbe fare ritorno al rock crudo che da sempre l’ha contraddistinta, ma per il momento ce la godiamo così, malinconica e primordiale, cupa e rarefatta. E ci piace da impazzire.
(2009, Island)
01 Black Hearted Love
02 Sixteen, Fifteen, Fourteen
03 Leaving California
04 The Chair
05 April
06 A Woman A Man Walked By / The crow knows where all the little children go
07 The Soldier
08 Pig Will Not
09 Passionless, Pointless
10 Cracks In The Canvas
A cura di Emanuele Brunetto