C’è stato un tempo in cui Brian Molko sarebbe davvero potuto diventare – coi dovuti distinguo – un nuovo David Bowie, non a caso suo mentore della prima ora. Aveva le carte in regola per salire su quell’oscuro trono a cavallo fra i generi: un’ambiguità sessuale su cui ricamare storie, un’accentuata indole dark, il look giusto, una voce particolarissima e doti compositive di non poco conto. Ed effettivamente fino al 2000, fino a “Black Market Music”, le cose stavano andando per il verso giusto.
Poi un’inversione di tendenza pericolosa, quantomeno per chi aveva apprezzato i primi tre lavori dei Placebo: niente più droghe in primo piano, niente più atmosfere da fine del mondo punk, niente più testi-confessioni. In poche parole, un deciso schiarimento delle tonalità generali del prodotto-Placebo. Prodotto, sì, perché la svolta easy-listening di album come “Sleeping With Ghosts” e “Meds” è servita ad accrescere la popolarità della band in maniera inversamente proporzionale alla qualità dei lavori offerti. Senza neanche citare “Battle For The Sun”, punto più basso di una discografia in caduta libera.
Loud Like Love non fuoriesce dal sentiero tracciato da Molko nel nuovo millennio: la furbizia del singolo Too Many Friends, con tanto di critica al nuovo sistema delle interazioni umane fondate sui social network (canta Molko: “I got too many friends, too many people that I’ll never meet“), ha fatto e continua a fare lo sporco lavoro assegnatogli, con quel refrain ficcante e un testo che non presenta alcuno dei filtri espressivi tanto cari al primo Molko. Va dritto al sodo Brian, tocca argomenti per i quali chiunque può dire la sua e cavalca le onde dell’attualità da provetto “music business surfer” qual è diventato (vedi anche Rob The Bank, presa di posizione contro il sistema bancario).
Le classiche ballate à la Placebo A Million Little Pieces e Bosco ricalcano lo schema che vede il pianoforte in sottofondo ad accompagnare l’intera traccia; peccato che manchi sensibilmente l’impatto emotivo di una “Ask For Answers” o di una “Blue American”. Purify fa un po’ il verso agli U2 di “Pop”, mentre la title track e Scene Of The Crime fanno i fighi come il singolo di cui poco sopra.
Qualcosa comunque riusciamo a salvarla, vedi Hold On To Me, traccia fra le più interessanti del disco, o Exit Wounds con le sue venature industriali che siamo sicuri debbano più di qualcosa agli ultimi lavori firmati da Trent Reznor. E poi Begin The End che, pur non brillando per chissà quali trovate, ha il merito di portare un po’ di pathos in una tracklist altrimenti scevra della seppur minima emozione.
Troppo poco? Decisamente troppo poco, sì: i Placebo si sono standardizzati su canoni proficui sotto tutti i punti di vista (tranne quello che interessa a noi) e pare non abbiano alcuna intenzione di fare un passo indietro. Ma, considerando il baratro in cui erano scivolati, questo “Loud Like Love” quantomeno non peggiora ulteriormente la situazione offrendo un paio di buoni episodi. Ma resta un lavoro debole, ruffiano e poco coraggioso.
(2013, Universal)
01 Loud Like Love
02 Scene Of The Crime
03 Too Many Friends
04 Hold On To Me
05 Rob The Bank
06 A Million Little Pieces
07 Exit Wounds
08 Purify
09 Begin The End
10 Bosco