Le notti di Bristol sono cambiate. Probabilmente hanno perduto quel loro fascino sotterraneo, più semplicemente sono diventate normali. Ed anche i Portishead, che del movimento trip-hop bristoliano di inizio anni ‘90 sono stati tra le frecce più appuntite dell’arco, oggi patiscono la fine di un periodo, in vero, già collassato una decina d’anni fa. Per la precisione sono undici gli anni che sono intercorsi tra l’omonimo “Portishead” e Third, (appunto) terzo ed inaspettato capitolo della saga di Beth Gibbons & Co. uscito questa primavera. Inaspettato sì, perché quella della band inglese pareva una storia conclusa, morta e sepolta da due lustri colmi di altre attività per i suoi quattro protagonisti. Ma di questi tempi non c’è più da stupirsi laddove reunion “impossibili” sono divenute spesso realtà “dubitabili”. Attenzione però, non vogliamo immergere anche gli ex-alfieri del trip-hop in quella vasca ristagnante e maleodorante dove, di recente, hanno bagnato le loro membra mostri britannici come i redivivi Bauhaus, Genesis, Police e The Who, ma comunque dobbiamo confrontarci con notti diverse, quelle di Bristol, e con Portishead diversi, inevitabile dopo una decade di assenza. E allora parliamone di questa diversità. “Third” è un album piuttosto buono. Undici pezzi eleganti, sinuosi, minimali e drammatici con la Gibbons che canta come Bjork (Machine Gun). Ma i Portishead maneggiano soprattutto silenzi (Silente) ed è questo il vero specchio rotto che porta a non far riconoscere, nelle tracce, la band che compose “Dummy” (1994). Ovvero: quella mistione di sound metropolitano, ritmi downtempo, dub penetranti, scratch hip hop, pulsioni cinematografiche noir, epos tribale, lascia il posto ad un disco di ballate nere, arrese, litanie di città. Con molta chitarra acustica (anche un banjo nella nenia folk Deep Water) e poche macchine. Con un umore scurissimo ed un sorriso appena accennato (Nylon Smile) ecco che i Portisehad ci conducono tra strade vuote e sonnecchianti. Pezzi come The Rip, Threads e Magic Doors (una bellissima tromba spezza il silenzio), danzano su queste frequenze e luci basse. Ironia della sorte però, il miglior brano della tracklist è quello che meno risente del mood adombrato. We Carry On è carica di elettricità, ritmo, infiammabilità. Con la batteria a marcetta (Dave McDonald) ad inseguire la drum machine/metronomo e le chitarre di Adrian Utley a fare da trampolino per la voce di Beth, sofferente e solenne. Poco Portishead per gli amanti dei Portishead, “Third” è comunque un disco onirico e struggente. Che parla delle notti di Bristol in maniera diversa, ma che di queste sa essere perfetta soundtrack anche a undici anni di distanza.
(2008, Mercury / Island)
01 Silence
02 Hunter
03 Nylon smile
04 The rip
05 Plastic
06 We carry on
07 Deep water
08 Machine gun
09 Small
10 Magic doors
11 Threads
A cura di Riccardo Marra