È pur vero che i canoni estetici cambiano nel corso dei secoli e che l’infelice didascalia delle Gallerie degli Uffizi sia applicabile a tutte le arti, compresa la musica. Il cambiamento nelle vite e nelle abitudini musicali di ognuno di noi rappresenta un processo circolare in cui contesto storico-artista-pubblico si influenzano reciprocamente, tanto da modificare il corso degli eventi. Si pensi, ad esempio, che la rilevanza di “Hurricane” di Bob Dylan nella riapertura delle indagini a carico di Rubin Carter, riuscì persino a scardinare uno dei pensieri cardine di Benedetto Croce: l’arte non è storia.
Se la frase “il rock è morto”, recitata come fosse un mantra da qualunque fruitore di musica da tempo immemorabile, può aver avuto un senso, se inserita nello scorso decennio, ad oggi si deve dare atto dell’esistenza di una scena post-punk-rock, proveniente dal Regno Unito e in rapidissima ascesa, fatta di nuove e vecchie leve, in grado di solleticare l’attenzione dei più e di riappropriarsi di una buona fetta di mercato. Idles, Murder Capital e Fontaines D.C. sono realtà che in un tempo abbastanza breve si sono affermate come band di altissimo livello, rimescolando le carte e restituendo immediatezza a un movimento nato più di quarant’anni fa.
Chrissie Hynde, che dei Pretenders è causa ed effetto, quel movimento l’ha vissuto e costruito, diventando di fatto ciò che aveva promesso di non essere mai: frontwoman carismatica di una band composta da musicisti di supporto intercambiabili. Probabilmente la volontà di riappropriarsi, anche in studio, di una formazione dei Pretenders quanto più completa e compatta possibile, ha convinto la Hynde a scegliere, per l’undicesimo album della band, Londra e non Nashville, come invece era successo per “Alone” (2016).
Hate For Sale, segna il ritorno di Martin Chambers alla batteria e rimette in gioco i Pretenders, con una tracklist di undici pezzi asciutti, frutto del co-writing tra la Hynde e il chitarrista James Walbourne. Archiviato temporaneamente il capitolo Dan Auerbach, il disco è stato prodotto da Stephen Street (Smiths, Cranberries, Blur, New Order) ed è il primo a racchiudere la formazione live del gruppo: Carwyn Ellis (tastiere), James Walbourne (chitarra), Nick Wilkinson (basso), oltre alla Hynde, Chambers e Walbourne.
Al di là della potenza vocale della Hynde, timida e sfacciata come Scarlett Johansson nella sua versione di “Brass In Pocket”, “Hate For Sale” è una palette armocromatica appagante, in cui si passa dal punk della title track, alla power ballad You Can’t Hurt A Fool, agli afflati morriconiani misti al reggae di Lightning Man, al rockabilly di Didn’t Want To Be So Lonely, al garage di Junkie Walk, con temi che passano attraverso relazioni tossiche (The Buzz), tradimenti (Turf Accountant Daddy), vite di amici scomparsi (Lightning Man).
“Hate For Sale” è un album che entra a pieno titolo in una lista, neanche datata, di formazioni in cui bassi, chitarre e batterie non sono ancora pronte a ricevere le dovute esequie. In soli trenta minuti e una manciata di secondi, i Pretenders danno vita a un eclettico mix di generi, suoni freschi dal tocco squisitamente vintage, confermando un’attitudine naturale a creare un classico in perfetta sincronia con il successo di una band che dura da oltre quarant’anni.
(2020, BMG)
01 Hate For Sale
02 The Buzz
03 Lightning Man
04 Turf Accountant Daddy
05 You Can’t Hurt A Fool
06 I Didn’t Know When To Stop
07 Maybe Love Is In NYC
08 Junkie Walk
09 Didn’t Want To Be This Lonely
10 Crying In Public
IN BREVE: 3,5/5