Le esperienze di questi musicisti, prima di ritrovarsi riuniti sotto il nome Pygmy Lush, indurrebbero a prepararsi al peggio. Almeno in termini di decibel. Tirare in ballo Pg. 99 e City Of Caterpillar non avrà alcuna valenza per molti di voi, ma chi mastica post-hardcore sa che avvicinarsi da quelle parti significava farsi male con facilità. I Pygmy Lush sono la reincarnazione di alcuni membri di quelle due band, tant’è che l’acerbo esordio “Bitter River” era vittima di attacchi isterici di stampo screamo che si alternavano ad un folk ancora piuttosto rudimentale. Due anime dall’opposta natura che collidevano generando una collezione di canzoni troppo confusa. E’ con “Mount Hope”, delicato acquerello sonoro del 2008 che la formazione di Sterling, Virginia, abbandona la pelle consunta sull’altra sponda del fiume e assume una fisionomia più precisa. Chitarre acustiche e raffinata estetica nell’impianto melodico segnano uno stacco quasi netto con l’intero passato di Chris e Mike Taylor e Johnny Ward, pilastri del progetto. All’uscita, in molti ne osannarono la bellezza e la fluidità, magari pensando che i Pygmy Lush non sarebbero riusciti ad andare oltre. Sbagliato. Registrato con Kurt Ballou (chitarrista dei Converge), il discorso sonoro adesso si dilata e guadagna nuovi orizzonti e la band approda con Old Friends, a ciò che non esitiamo a definire il suo capolavoro. Le linee vocali sono strepitose, semplici e ricercate e si insinuano tra le fessure strumentali colmandole, fondendosi in un amalgama perfettamente bilanciato. Le architetture armoniche e le progressioni melodiche sono brillanti, avvalorate da arrangiamenti che evidenziano le dinamiche di ogni singola canzone. Scorrere la tracklist è come immergersi gradualmente in uno specchio d’acqua vestito dei riflessi notturni delle stelle. I Black Heart Procession più tormentati appaiono in Yellow Hall e subito lo sterno si squarcia e il cuore pulsa nudo rivolto alla luna. Chance, Good Dirt, Penny On My Deathbed (il cui titolo non ne tradisce l’aura funerea), January Song e Admit sono splendide ballate generatesi dallo stesso humus di Iron & Wine, Sufjan Stevens e Wilco. La title-track rimane sospesa in un prolungato respiro su nuvole azzurre, Pals si disperde su un cavalcante climax post-rock. La desolazione tipica del folk apocalittico opprime il petto nella scarna In a Well, prima che si levi da terra su un arpeggio conclusivo di pinkfloydiana memoria. Se volete davvero sentire un nodo alla gola, però, lasciatevi percorrere da I’ll Wait With You, che solca le onde della malinconia sull’onirica nave dei Sigur Ròs. “Old Friends” è un album perfetto, immenso nella sua densità emotiva, una serie di segrete confidenze scandite tra le coste vellutate del buio. Invero, uno degli apici del 2011 discografico.
P.S. – potete ascoltarlo per intero sulla pagina Bandcamp della Lovitt Records: http://lovitt.bandcamp.com/album/old-friends
(2011, Lovitt)
01 Yellow Hall
02 Chance
03 Good Dirt
04 In A Well
05 Night At The Johnstown Flood
06 I’ll Wait With You
07 Penny On My Deathbed
08 A Weird Glow
09 Admit
10 Old Friends
11 January Song
12 Pals
A cura di Marco Giarratana