Il primo approccio con la musica dei Pyrrhon può essere molto complicato. Il quartetto di Brooklyn è, con successo, una delle band più estreme e cerebrali del pianeta, fautore di una violenza che ha molti emuli ma pochi pari, rappresentanti di una sperimentazione che li ha portati, lungo tutto lo scorso decennio, a essere definiti (specialmente dalla critica più specialistica) come uno dei collettivi di riferimento del metal contemporaneo. Il loro mix di death metal tecnico e dissonante, avanguardistico free jazz e schizofrenico noise rock è ormai assunto a livello di istituzione e con il precedente album “What Passes For Survival” (2017) ha raggiunto un picco talmente elevato da rendere coinvolgente e interessante un vomito sonoro così viscerale da portare l’ascoltatore a doversi confrontare con i propri bisogni più terreni.
Come seguito di tutti i grandi successi, i Pyrrhon del 2020 si trovano dunque nella scomoda posizione di doversi riconfermare su livelli forse inarrivabili. Abscess Time ci riesce, anche se a scapito di alcuni degli elementi che han reso il catalogo passato così eccitante. Lungo un’ora di delirio dissociato i Pyrrhon si scoprono capaci di premere il pedale del freno destrutturando le caotiche costruzioni tipiche del loro sound al fine creare ritmi più “accessibili” (si fa per dire…), ma lasciando qualche dubbio sulla reale motivazione di questo cambiamento. Se è forse possibile escludere la necessità di raggiungere un ascoltatore meno esigente, la verità potrebbe ricadere indifferentemente tra il bisogno di doversi confrontare con composizioni più ragionate e la parziale mancanza di idee fresche con le quali evolvere il proprio output sonoro.
Il disco si apre con la title track Abscess Time, disarmonico e rancido rantolo dall’atteggiamento quasi hardcore che spiazza per ritmica e incedere: dove sono quei riff velocissimi e caotici ormai trademark di questi folli americani? Dove vuole tendere questo disco già pretenzioso dalle prime note? Certamente vuole mostrare una maturità ormai completa e inappuntabile. Se l’opener disorienta l’ascoltatore disattento, le successive Down At Liberty Ashes, The Lean Years e Another Day In Paradise cementano e completano un sound mai così pulito e perfezionato. Se è vero che può sentirsi la mancanza di quella irruenza insensata di alcune composizioni del passato, è anche certo che riff e costruzioni così definite permettono di godere con immediatezza di ogni singola nota.
Il problema non sono dunque i Pyrrhon che padroneggiano inconsuete metriche rigettando fiumi di dissonanze frastornanti, quanto più l’approccio incerto di alcune tracce che possono essere definiti riempitivi, composizioni che si finirà troppo preso per skippare dall’ascolto senza troppo rimorso. È il caso di brani come Overwinding, Solastalgia e di ciò che più rappresenta la debole esitazione che si respira in modo sparso lungo tutto il disco: The Cost Of Living è un pachiderma melmoso e straziante, otto minuti poco eccitanti che si trascinano con fatica ma che preparano a una manciata di secondi finali di esplosione atomica che brama con forza un songwriting strutturato in maniera differente.
Non mi si fraintenda, “Abscess Time” è un’ora di musica pazzesca e frastornante, un’esperienza talmente estrema e affascinante da rischiare anche se non si è avvezzi a un sound così inaccessibile. La sfortuna dei Pyrrhon di oggi sta da ritrovarsi nel suo recente trascorso, settare standard così elevati genera obbligatoriamente paragoni continui e per un lavoro in parte contrastante (senza comprendere appieno quanto sia determinato piuttosto che casuale) si finisce per avanzare qualche dubbio in termini di longevità rispetto a un “What Passes For Survival”.
(2020, Willowtip)
01 Abscess Time
02 Down At Liberty Ashes
03 Teuchnikskreis
04 The Lean Years
05 Another Day In Paradise
06 The Cost Of Living
07 Overwinding
08 Human Capital
09 Cornered Animal
10 Solastalgia
11 The State Of Nature
12 Rat King Lifecycle
IN BREVE: 3,5/5