
Quanto fossero bravi i Quade s’era già capito nel 2023 quando avevano fatto la loro prima comparsa discografica con “Nacre”, una di quelle opere prime che non passa inosservata, che non può passare inosservata. I quattro da Bristol − luogo di provenienza che solitamente è sinonimo di ricerca, di mistioni, di visioni − s’arrampicavano lì in maniera poco ortodossa su una torre costruita con spunti sparsi in giro per la storia della musica: quindi un po’ di psichedelia, una marea di post rock, tanta ambient e, più in generale, un approccio compositivo che fa dell’imprevedibilità una prioritaria cifra stilistica.
A proposito di torri (in questo caso reali e concrete, visto che si fa riferimento a una struttura che serve alla regolazione del livello delle acque di un bacino idrico nel Galles, dov’è stato concepito il disco) eccoli adesso con The Foel Tower, che arriva dopo un periodo a quanto pare parecchio complesso per ciascun membro della band, un disco con il quale i Quade caricano ulteriormente le aspettative attorno alla loro creatura, che si fregia qui di una pigmentazione ancora più particolare e tendente all’unicità.
Prendi Beckett, che apre il disco: un pianoforte sbilenco che s’aggrappa su un’impalcatura ambient, poi la sezione ritmica profonda che entra di soppiatto e infine gli archi che s’incastrano reclamando il proprio ruolo all’interno del pezzo; See Unit si dipana soporifera, seguendo i dogmi del più classico post rock, per poi deflagare subitaneamente (ma brevemente e ripetutamente), quasi si trattasse di un fulmine; Bylaw 7.1 che parte con una comunicazione lontana, chissà da chi e da dove, per poi perdersi in un pianoforte surreale e la parte centrale che diventa un omaggio ai Mogwai altezza “Rock Action”, davvero una meraviglia per le orecchie.
Nannerth Ganol è il fulcro dell’intero “The Foel Tower”, e non soltanto perché piazzata a metà della tracklist: il post rock cosmico in quota Godspeed You! Black Emperor, una progressione in cui suoni ambientali e strumentazione varia s’inseguono per oltre sette minuti; c’è Canada Geese che, delicata e bucolica nella forma, s’incupisce trasudando Red House Painters e quindi slowcore, fino alla consueta esplosione post rock; e infine Black Kites, otto minuti di uno slowcore in cui sono ancora una volta la campagna, i suoni a essa connessi e poi gli archi a tenere le fila.
La profondità di queste sei tracce è innegabile, così come il carico emozionale che si portano dietro dal primo all’ultimo dei trentaquattro minuti di durata del disco, che sembrano però un’eternità tanto ti tengono incollato all’ascolto. La bravura dei Quade da Bristol sta tutta qui, nel minimizzare − nel senso letterale di ridurre al minimo − gli insegnamenti doom, nel saper prendere il folk per scarnificarlo e sottometterlo al proprio servizio, nell’immergersi nel post rock uscendone se possibile ancora più “post”, nell’utilizzo di strumentazione e suoni indecifrabili, in un processo espressivo circolare che finisce per non finire. Quanta bellezza e quanta bravura tutte in un unico lavoro.
2025 | AD 93
IN BREVE: 4/5